Distorsione percettiva, allarmismo e negazionismo
Se è vero che per prevenire il contagio del nuovo coronavirus ognuno di noi può mettere in atto qualche piccolo comportamento concreto, nessuno può veramente evitare le proprie reazioni irrazionali, neppure chi si ritiene persona ragionevole e informata. Liquidare come una forma di stupidità certi atteggiamenti, limitandosi a dire “Non fate così” o addirittura “Niente allarmismo, MA…” dimostra una certa ingenuità riguardo i potenti meccanismi di difesa che tutti possiamo tirare fuori quando ci assalgono brutte sensazioni. Soprattutto quando le sensazioni sono miste e confuse.
Ciò che si percepisce dai Social (e che si tende a considerare come specchio della realtà) è in ogni caso distorto, perché nella situazione attuale i comportamenti più comuni sono prevalentemente distonici e incoerenti. Negazionismo esibito a parole, per esempio, seguito da comportamenti fobici come quello di fare scorte alimentari. Aggressività nei confronti di “presunti untori”, “governo” o altro di specifico, alternati ad atteggiamenti palesemente rischiosi dal punto di vista sanitario.
Non esistono pertanto “gli allarmisti”, i “nagazionisti” o i “complottisti” puri, ma una generale confusione che porta la stessa persona da un estremo all’altro, nel tentativo di gestire la paura e soprattutto la sensazione di impotenza che ne consegue e che è di gran lunga più frustrante e duratura.
Si tratta di un meccanismi antichi e connaturati: in mancanza di conoscenza e di una risposta, si va per tentativi disparati. Se non riesco ad aprire una porta tirandola, tento la soluzione opposta e spingo.
Il paragone non è completamente azzeccato, perché nel caso citato starei agendo su un elemento esterno e la riuscita o meno dei miei tentativi sarebbe determinata dal fatto che la porta si apra oppure no. Cosa cerchiamo invece quando scegliamo un comportamento che tagli la testa al toro attraverso prese di posizione estremizzate? Non una soluzione pratica, che abbiamo già capito non essere alla nostra portata, ma piuttosto una sensazione: quella di essere calmi e di avere la situazione sotto controllo.
Può sembrare ridicolo, e nei fatti lo è, ma chiudere una faccenda complicata limitandosi semplicemente a stabilire che è colpa di qualcuno, per esempio, ci libera almeno in parte dalla sensazione corrosiva di stare facendo noi qualcosa di sbagliato, e ci permette di recuperare il controllo della nostra emotività.
Stabilire che è tutto una questione religiosa o di fato, funge allo stesso scopo: toglie responsabilità che non sappiamo come gestire, e in ultima analisi abbassa il senso di frustrazione e impotenza. Ignorare il problema arrogantemente o annunciare l’apocalisse o entrambe le cose all’occorrenza, ci restituisce un ruolo sociale che ci pare attivo e ci illude di nuovo di stare facendo qualcosa di concreto per gestire la situazione.
Molte ricerche di psicologia sociale hanno dimostrato quanto, soprattutto quando si tratta di argomenti scientifici, sia difficile sradicare una credenza e il comportamento che ne consegue, anche esibendo prove inconfutabili. In fin dei conti i dati relativi al nuovo coronavirus sono pochi ma abbastanza semplici da capire: a quel che ne sappiamo nessuno ne è immune, potrebbe arrivare a contagiare un numero immenso di persone. Se si diffonde in fretta potrebbe mettere in crisi il nostro sistema sanitario e fare molti danni nei Paesi che non hanno sistemi sanitari adeguati. Gli unici comportamenti utili sono lo stare a casa se si è anche solo raffreddati, e intensificare l’igiene. Abitudini che servirebbero anche a ridurre il contagio di altre infezioni, ma che non sono mai state prese sul serio in precedenza e ora quindi paiono una soluzione insufficiente, certamente non il tipo di “azione risolutiva” che il benessere ci ha abituato ad aspettarci e che l’ansia reclama.
L’ansia quindi non si placa, abbiamo bisogno di qualcosa di più. Permane la sensazione di non aver capito o colto un elemento essenziale e continuiamo a ragionarci su, fino a inventarcelo, in quello che si chiama distorsione percettiva. “Questo virus non uccide tanta gente, quindi non è pericoloso“, “È un virus costruito in laboratorio“, “Il tal politico si deve dimettere“.
La soluzione-non-soluzione basata su una distorsione percettiva ci offre un po’ di pace dell’animo, soprattutto se condivisa da altre persone che rinforzano la nostra sensazione di avere trovato un rimedio. Questo è il motivo per cui, invece di ascoltare e informarci, sentiamo il bisogno di annunciare i nostri pensieri sui Social, di litigare con chi sostiene cose diverse e scegliere dichiarazioni che confermino il nostro pensiero, negando e liquidando in fretta tutto ciò che sembra riaprire la questione e dimostrarci che stiamo credendo in un’affermazione falsa.
Sebbene la cultura e la conoscenza siano dei buoni antidoti a molti di questi atteggiamenti, queste dovrebbero essere fornite PRIMA dell’inizio di un problema. Una volta innescato il cortocircuito emotivo invece, la razionalità di un’informazione perde ogni valore. Lo sa bene chi soffre di qualche fobia come quella nei confronti di certi animali: sapere che sono innocui non cambia nulla. Chi si è convinto che questo virus non esiste, pertanto, potrebbe continuare a pensarla così anche davanti a un’ecatombe, magari anche a costo di rischiare la propria vita, perché ne va della sua pace interiore. Si tratta di un meccanismo in questo caso deleterio, ma che in altri contesti potrebbe risultare vincente e che probabilmente affonda le sue radici nel nostro passato evolutivo.
Cultura e conoscenza non sono comunque una garanzia, perché non posso coprire tutto: proprio in questa occasione ci sono state dimostrazioni imbarazzanti anche da parte di alcuni addetti ai lavori, il cui sentire emotivo ha prevalso sul ragionamento razionale.
I meccanismi di protezione dai sentimenti negativi sono sempre molto robusti e refrattari al cambiamento. Paradossalmente non è così difficile trovare chi, per proteggere gli altri, sia disposto a rischiare la propria incolumità fisica, mentre è molto raro trovare chi sia disposto, per gli stessi motivi, a compromettere la propria serenità rinunciando alle proprie credenze. Questo spiega come mai molte persone, pur in qualche modo consapevoli del fatto che le loro azioni o dichiarazioni sono false o pericolose, insistono a perpetrarle e a difenderle a tutti i costi. Discutere con lo “stupido” di turno sui social cercando di farlo ragionare, quindi, significa perpetrare un attacco alle sue strutture di difesa e scatena soltanto un inasprimento delle modalità difensive già attivate. Oltre che inutile, rischia di essere controproducente.
In questo momento, in tutti noi, anche nelle persone più informate, è in corso una lotta interiore tra emotività e razionalità, dove l’emotività trova appigli più creativi. Di solito questo genere di conflitto a lungo andare consuma energie e porta a sintomi depressivi e a un aumento dell’aggressività.
Astenersi dal seguire ossessivamente le notizie può essere utile, ma difficilmente sufficiente se manca una capacità di disciplina nella gestione emotiva interiore, dato che il sentimento di paura è già innescato. Il silenzio, consigliato da molti, è utile alla comunità ma potrebbe impedire al singolo l’elaborazione necessaria, e portarlo a exploit che vanificano, anche dal punto di vista sociale, quanto fatto fino a quel momento. In genere in queste situazioni si tenta di creare degli spazi di discussione ad hoc, ma in questo caso, trattandosi di un fenomeno che agita tutti e in continua evoluzione, il rischio è quello di peggiorare le cose.
I disastri, di qualunque natura essi siano, si distinguono per non avere soluzioni democratiche attuabili “in corsa”. Nel caso del nuovo virus occorreva attuare una prevenzione, oltre che del contagio, anche degli atteggiamenti irrazionali già noti e comuni alle società. Si sarebbe potuta cogliere l’occasione – durante il periodo in cui in Italia il virus non era ancora stato rilevato e prima che il panico travolgesse tutto – di sfruttare l’attenzione generale intorno a questo fenomeno e fornire in modo continuato informazioni corrette sulle infezioni e sulla prevenzione dei contagi in generale. Sarebbero comunque tornate utili anche per l’influenza.
Non è stato fatto, e i giornali e i politici, lasciati a se stessi, si sono inizialmente limitati a usare le notizie in modo via via sempre più ristretto e strumentale, dimostrando a loro volta inconsapevolezza e ignoranza di meccanismi sociali noti da ben prima che ci fosse Facebook. Tali meccanismi, proprio per via della loro instabilità intrinseca, sono sì sfruttabili, ma per un periodo di tempo molto limitato e non portano alcun vantaggio nel lungo termine, anzi (e anche questo si sa da tempo). La tendenza di questi fenomeni è solitamente quella di passare da una fase di panico sociale intenso ma breve, a una sorta di “anestesia” e disinteresse accompagnata dall’intensificarsi di atteggiamenti imprudenti, come insegna la storia del virus HIV.
In questo momento gli atteggiamenti irrazionali, che colpiscono anche molti scienziati, sono diffusi in ogni Paese che consenta una certa libertà di espressione alle persone. Pertanto non si tratta di un fenomeno legato alla cultura. L’unica cosa da fare dal punto di vista emotivo è osservare le nostre emozioni con un certo distacco ed essere tolleranti con se stessi e con gli altri, tenendo a mente che la paura del nostro vicino, o la sua noncuranza, che oggi magari ci paiono assurde e pericolose, domani potrebbero assalirci di sorpresa, senza una ragione apparente. La razionalità richiede tempo: quando è in corso un’emergenza per la quale non esiste una soluzione precedentemente pianificata, cessa di essere una risorsa valida. È meglio la solidarietà diffusa e priva di giudizio.
Sito del ministero della Salute
Altri articoli
Depressione dopo un intervento chirurgico
Pensiero rimuginante o Overthinking
La vita immortale di Henrietta Lacks e il problema etico della ricerca sui tessuti umani.