Comprare follower a poco prezzo: no risultati, solo conseguenze dall’altra parte del mondo
Comprare follower non mi passa proprio per la testa, ma ogni tanto la pubblicità mi arriva. Nella foto ho cancellato il nome dell’agenzia, non perché tema denunce o per rispetto di una legge, quella sulla privacy, che è talmente contorta da essere diventata un’arma invece che un diritto. L’ho fatto perché i nomi di queste agency cambiano spesso e potrebbe capitare che tra un anno una persona ignara acquisti un dominio con questo nome, ritrovandosi una cattiva nomea ancora prima di cominciare. Anche questo è un “effetto farfalla” di certi metodi commerciali.
Insisto su questi argomenti perché trovo che le persone siano molto sensibili alle truffe perpetrate nei loro confronti e alla loro personale convenienza, ma sembrano refrattarie a spingere i ragionamenti un po’ più in là, chiedendosi come certi miracoli siano possibili e a quale costo sociale. Distratti da i macro eventi, trovo che ci sfugga troppo spesso la tragedia annunciata dalle piccole cose.
Spendere solo 18 euro per comprare follower a migliaia è allettante, e che siano internazionali, specie per chi non ha molto da mostrare tranne il proprio esibizionismo, può essere persino meglio. E comunque la gente non va a vedere la nazionalità di chi ti segue, guarda il numero, e se parti con 16,500 follower e 15000 like, fai già un figurone. Perché perdere tempo a domandarsi come mai i follower italiani risulterebbero un decimo di quelli internazionali e non metterebbero il like mentre gli altri sì, tutti e 15000?
Come già spiegato in questo articolo, i 15000 follower internazionali procurati da queste agency sono perlopiù persone che vivono in Paesi poveri, e che guadagnano (quando va bene) pochissimi dollari al mese per un’attività che a loro comunque non dispiace: stare sul telefonino e mettere il like e/o il follow a tutto quello che viene loro proposto tramite un link in una chat di gruppo. Niente di male, in apparenza. Chi spende questi soldi potrebbe anche pensare di avere un po’ contribuito ad aiutare una persona con poche entrate. Chi ha pochissime entrate (e in Italia ce ne sono) potrebbe anche pensare che non è male come lavoro per arrotondare.
L’organizzazione di questi sistemi di “lavoro tramite chat” è di tipo piramidale: chi controlla la chat, e controlla che tutti nel gruppo eseguano gli ordini, guadagna un po’ di più. In molti casi decide quando e se pagare i cliccatori seriali, e in che modo. I più furbi non pagano i cliccatori con denaro, ma con la partecipazione a una chat che li fa sentire meno soli, con like reciproci alle foto postate sui social, con internet gratis un’ora al giorno, con un telefonino usato. Una scuola di bambini in Sudafrica fa così: loro possono avere accesso a internet a scuola se mettono like in massa a quello che dice il preside. Il preside guadagna quattro spicci, loro rimangono analfabeti. E sono contenti tutti. Il capofabbrica di un’azienda filippina o cinese può disporre di centinaia di lavoratori, che nelle pause lavorative cliccheranno dove viene loro ordinato di cliccare, in cambio di semplici favori.
A questo punto chi si sentiva già un po’ mecenate con la modica spesa di 18 euro potrebbe fare spallucce. Non sarà un meccanismo super etico, ma c’è di peggio.
Comprare follower e cliccatori in un Paese ricco è più complesso, infatti il numero di follower italiani promesso dalla pubblicità equivale a un decimo dei follower internazionali. Nella maggior parte dei casi si tratta comunque di persone straniere che risiedono nella nazione richiesta e che lavorano con lo stesso meccanismo già citato. Spesso sono i “capi” delle chat, e da questo si può dedurre che le chat siano piccole e capillari, proprio per dare la possibilità al “capo” di controllare il lavoro dei suoi “impiegati”. Un “capo-chat” che ha 10 chat di gruppo con 30 cliccatori ciascuna, dispone potenzialmente di 300 like e/o follow all’istante. È in collegamento con altri “capo-chat” di pari forza a cui può estendere la richiesta.
Individuare e contattare un capochat è relativamente facile: è di solito maschio, straniero, di un Paese povero, ma vive in un Paese ricco. A volte addirittura in un campo di accoglienza migranti. Mette i like e i follow per tutto il tempo che gli serve a controllare l’andamento della “sua” campagna, poi toglie tutto per non avere il social affollato. Se ci si rivolge direttamente a lui si ottengono gli stessi like e follow a un prezzo un po’ più basso, ma non di tanto: sa che è qualcosa che non dovrebbe fare e rischia di essere scoperto dai capi più su, che passano la giornata a controllare. Potrebbe perdere l’intero business e anche qualcosa di più, perché è ovvio che questa “piramide” ha delle frange non proprio amichevoli. Non ha senso rischiare per pochi euro, quando con un lavoro costante di 4 o 5 ore al giorno e un buon gruppo di cliccatori riceve ordini a sufficienza per guadagnare tra 50 e 300 euro al mese, più eventuali colpi di fortuna che raddoppiano la cifra.
I 18 euro per comprare i follower sono quai tutti intascati da chi organizza la campagna pubblicitaria e riceve gli ordini dai clienti sul web. Agli altri vanno centesimi. Gli ultimi della catena di montaggio di questo sistema guadagnano circa 1 centesimo ogni mille reazioni, ma si tratta di una media indicativa. Un centesimo in un paese povero ha un valore, ma lo ha anche il fatto di non sentirsi soli, avere un telefono che manda notifiche in continuazione, avere dei contatti.
Internet ha delle peculiarità: è libero, c’è chi dice troppo, da un lato, eppure controllatissimo dall’altro. Se voglio sapere l’età, le abitudini di qualcuno, devo spiarlo personalmente o affidarmi a ciò che rende pubblico, ma se voglio entrare in contatto con gruppi interi di una certa tipologia di persone, il lavoro si fa molto più arduo e i dati possono risultare inaccessibili. Per averli, occorre pagare.
In particolare è difficile stabilire l’età dei naviganti, al punto che i governi hanno difficoltà a restringere la visualizzazione di certi siti ai minorenni perché non riesco a individuarli.
Queste chat di cliccatori però, sono piene di minorenni, ragazzini poveri e probabilmente anche ingenui, che adorano chattare e conoscere persone, possono fornire foto e sono in cerca disperata di soldi e compagnia.
Questi contatti sono in mano ai capo-chat, che sono sfruttati e vivono alla giornata. Sono abituati a sfruttare a loro volta masse di altre persone deboli e potrebbero non essere pervasi da grande senso etico, vendendo non i clic ma i direttamente i contatti delle loro chat, selezionandoli su richiesta. Ragazzini, donne, persone sole al mondo, malintenzionati capaci di mansioni specifiche, gente disperata, magari disposta a vendere un organo. Basta andare avanti con l’immaginazione per arrivare a concepire scenari orrendi.
Rimane una domanda: i big della rete, che guadagnano anche da tutto questo, sanno?
Come tutti, lo sanno solo se hanno voglia di pensarci.
E di qui si arriva al problema di cui in apparenza si lamentano tutti, cioè l’assenza di reale informazione. Eppure queste informazioni sono facilmente reperibili. Il problema è che sono disturbanti, creano un impasse di pensiero tra il nostro trastullo e il senso di colpa, finendo per essere rimosse, semplicemente.