Vestibolite o Vestibolodinia vulvare: diagnosi incerta, guadagno sicuro
,Riporto il racconto di un'esperienza fatta da una mia cliente e che assomiglia ad altre che avevo già ascoltato. Capita spesso che su questo genere di argomenti sia tirata in ballo la psicologia da parte di medici che in psicologia non hanno alcuna preparazione specifica, pertanto ho inserito alcuni commenti a fondo pagina con lo scopo di fornire un'informazione più corretta in quell'ambito.
Mi assumo la responsabilità di eventuali imprecisioni che posso avere fatto nella trasposizione, che ho comunque cercato di riportare nel modo più fedele possibile.
“Soffro da molti anni di quello che ho scoperto chiamarsi Vestibolite o Vestibolodinia Vulvare. Il vestibolo vaginale è una membrana di pelle dietro le piccole labbra che circonda l’ingresso della vagina a si congiunge al meato urinario. Nel mio caso quella membrana brucia al minimo contatto o pressione, e anche quando sono seduta su una superficie dura.
Come altre donne con questo disturbo, i rapporti sessuali per me sono dolorosi e si portano appresso gonfiore del vestibolo, uretriti e infezioni vaginali. Ho anch’io consultato decine di ginecologi, ottenendo cure antibiotiche, omeopatiche, accuse di ipocondria, teorie fantasiose sul mio stato psicologico, senza mai risolvere nulla. Negli anni ho imparato a gestire la questione infezione & irritazione post coito a modo mio. Ho tentato più volte di spiegare i miei metodi ai medici, ma non sono mai stata ascoltata. Oggi scopro su internet che ci sono dei siti web e una ginecologa che elargiscono gli stessi consigli che avrei potuto dare io 20 anni fa: niente indumenti stretti all’inguine, mutande portate il meno possibile e non certo di notte, igiene maniacale prima e dopo un rapporto, preservativo, niente zuccheri, lattobacilli, niente saponi, non stare seduta troppo a lungo, bere acqua e bicarbonato per l’uretrite/cistite.
Tutto questo non ha comunque risolto il dolore e l’irritabilità del vestibolo. Per coloro che ne fanno una questione legata a “problemi con la sessualità” specifico che sono stata in psicoterapia e anche dal sessuologo senza risultati. Non starò a discutere se il dolore urente in un punto specifico della vagina (e non in altri) e che non varia di un’oncia che io sia felice o disperata, origini da un mio inconsapevole rapporto nevrotico con il sesso. Posso solo dire che ne soffrivo già da bambina (la bicicletta) ed è diventato evidente quando, prima ancora di avere rapporti sessuali, iniziai a usare tamponi interni perché facevo nuoto agonistico. Non ho subito traumi o violenze durante l’infanzia, quindi se si tratta di “paura della penetrazione” come mi sono spesso sentita dire, vorrei capire come facevo ad averla prima ancora di sapere cosa fosse.*
Del mio dolore non raccontai mai a nessuno. Per decenni ho continuato a pensare che fosse normale, o comunque che dipendesse da me in qualche modo.
Ultimamente, durante la visita da un proctologo, ho osato accennare al problema, sperando che ne avesse sentito parlare. Il dottore mi ha indirizzato da un professore, a suo dire vera eminenza nel campo, e per un momento mi si è sciolto qualcosa dentro. Forse un po’ tardi, ma mi sono vista in prossimità di guarigione, capace come le altre di avere rapporti sessuali e anche sentimentali con serenità, cosa che mi è sempre stata preclusa e che ha reso la mia vita molto diversa da quello che avrebbe potuto essere.
Il professore mi ha dato un appuntamento alle sette di sera nel suo studio che sembra il set di un film di fantascienza: sottofondo di cinguettio del bosco, luci azzurre e segretarie con la cuffia chirurgica sui capelli biondo platino che si muovono felpate, dicendo prego e scusi in continuazione. Temevo di trovare un ginecologo stanco e disattento a fine di una lunga giornata di visite, ma lui sembrava in ottima forma. Collaborativa più che mai, gli spiego di avere scoperto di essere probabilmente affetta da sindrome della Vestibolite Vulvare.
– Vestibolodinia, signora. La vestibolite è un’infiammazione, ma nella maggior parte dei casi io vedo un organo sano, è il cervello che interpreta lo stimolo come doloroso. Per farle un esempio, io mi faccio una carezza sulla mano, ma il mio cervello la interpreta come se ci avessi appoggiato un tizzone ardente e mi fa sentire quel classico dolore che noi definiamo urente, oppure punture di spillo o prurito. Quindi il 90% dei medici, vedendo l’organo sano, le diranno che è pazza, e invece a volte il cervello fa così, interpreta male gli stimoli. Si chiama disturbo funzionale**, che significa che l’organo è a posto, ma il cervello reagisce a modo suo. –
Questa spostamento del problema al cervello mi riporta a vecchie rimembranze di visite ginecologiche precedenti. Il professore non dice che sono ipocondriaca, ma non mi ha neppure ancora visitata e pensa già che il mio cervello mi faccia brutti scherzi. Conosco la differenza tra la parola vestibol-ite, dove -ite sta per infiammazione, e vestibolo-dinia dove -dinia sta per semplice dolore e non mi pare il mio caso. La mano accarezzata che percepisce dolore o la “bocca urente” tanto citata dal professore come esempio, si limitano a dolere al momento del contatto ma non si arrossano, non si gonfiano, non scatenano infezioni e infiammazioni con lo sfregamento, mentre il mio vestibolo vaginale sì. Questo, scientificamente parlando, mi pare una differenza di cui si dovrebbe tenere conto.
Lui mi risponde che è normale che i tessuti della vagina si gonfino durante un rapporto sessuale e che è ovvio che lo sfregamento meccanico scateni una maggiore proliferazione batterica:
– Il 90% dei ginecologi non capisce e dà antibiotici e fa fare tamponi, ma non serve a niente, il problema non è lì. –
Il professore mi dice anche che le lavande vaginali non servono a nulla. Lui lo sostiene da anni, al punto che si è inimicato tutti i produttori. Io cerco di spiegargli che se non faccio una lavanda subito dopo un rapporto sessuale finisco per avere perdite maleodoranti che non guariscono da sole, e ho un’esperienza di circa 20 anni su questo fenomeno, ma lui risponde che l’Italia è l’unico Paese rimasto al mondo a produrre lavande vaginali, tanto sono inutili.
Andiamo avanti così per un po’: lui sembra avere una certa tendenza a parlare di se stesso in quanto luminare e a fare lezione teorica su concetti semplici che ho già letto su internet, rispondendo a domande che però io non gli faccio. Se il sintomo che descrivo non rientra nella sua lezione, parte con altri discorsi che non mi sembrano pertinenti, come la faccenda dell’uretrite sanguinante, liquidata menzionando cistite interstiziale, colon irritabile e cefalea, tutti disturbi funzionali, a suo dire. Saranno anche funzionali, ma sono dolorosi e vorrei sapere se esiste una cura.
All’inizio dell’incontro il professore ha compilato una scheda chiedendomi le solite cose: a che età la prima mestruazione, quando l’ultima, gravidanze, operazioni subite, eventuali malattie croniche. Aspetto imbarazzata qualche domanda sulla mia vita sessuale o altro, ma non succede.*** Dopo un colloquio di quasi un’ora in cui parla quasi sempre lui, finalmente mi visita.
L’esame è molto breve e consiste nella famosa prova del cotton-fioc o swab test di cui si legge ovunque sul Web, e che io avevo già fatto per conto mio. Alla pressione sul vestibolo scatto per il dolore, come durante tutte le visite ginecologiche del passato. Non sento male in nessun’altra zona, e la diagnosi di vestibolodinia è confermata. Molti su Internet parlano di un’eccessiva tensione del muscolo elevatore dell’ano come causa principale del disturbo, ed è ovvio che dilatando il perineo la mucosa del vestibolo si stiri, nel mio caso in modo doloroso. Ho fatto quindi un po’ di esperimenti: la mucosa del vestibolo fa male anche se soltanto sfiorata, senza coinvolgere il perineo, che di suo non è dolente. Anzi, il proctologo mi ha proposto di rinforzarlo. Il professore sull’argomento rimane vago, dicendo che è ovvio che se ho dolore stringo e invece dovrei rilassare. Aggiunge poi che ci sono donne di 70 anni che si ritrovano improvvisamente con una vestibolodinia e mi chiedo come possa una donna di quell’età avere un perineo ipertonico.
Il professore scatta una foto della parte esterna della mia vagina, che dice essere in perfette condizioni. Per dimostramelo tira fuori un librone di fotografie collezionate nel corso della sua carriera come specialista della vulvodinia, mostrandomi vagine strane, alcune prive di labbra e con la mucosa esposta (“queste sì che sono ipersensibili”). Gli chiedo se non pensa che la mia abbia la fine dell’uretra un po’ troppo bassa ed esposta, visto che non ne vedo altre così, ma lui mi dice che siamo tutti diversi. Non mi ha fatto una visita ginecologica: mi ha esaminato solo esternamente e mi specifica che per il resto, se voglio, dovrò fare un’altra visita. Per i momenti di infiammazione post coito mi consiglia di inserire del ghiaccio in vagina, cosa che il proctologo si era tanto raccomandato di non fare mai.
Faccio un ultimo tentativo: il mio vestibolo è ricoperto di escrescenze che una ginecologa in passato aveva ritenuto fossero condilomi. Mi ero quindi rivolta a un dermatologo che li aveva esclusi e aveva asportato le escrescenze con il laser per farle esaminare. Erano risultate essere formazioni del tutto innocue di cui non ricordo il nome, ma sono proprio quelle, in particolare, che si infiammano e fanno male al contatto e allo sfregamento. Il fatto di averne eliminate alcune mi aveva dato sollievo, ma poi si erano riformate. Lo dico al professore.
– Sono papule, molti dermatologi ignoranti le vaporizzano, ma sono fisiologiche. Guardi questa vagina qua, ne ha molte più di lei. –
– Sì ma io ero stata molto meglio fino a quando non se ne sono formate di nuove. –
– Le papule non ricrescono. –
Rinuncio a dire che a me risulta il contrario almeno per quanto riguarda la mia vagina. So che in alcuni casi si è tentata la totale resezione del vestibolo e chiedo al professore cosa ne pensa.
– Non serve, le terminazioni del dolore ricrescono. Avevo una cliente che lo ha fatto e quando è tornata da me ho avuto persino il dubbio che non le avessero fatto nulla, perché era tutto uguale. Era una di quelle pazienti che fanno un sacco di domande e che chiedono tante spiegazioni. Quando l’ho mandata dallo psicoterapeuta mia amico mi ha poi detto che è schizofrenica. –
Sono lì da un’ora e mezza e il dottore non sembra avere fretta di andare a cena. Provo a chiedere se una cura c’è e in cosa consiste.
– Neurolettici****, in dose bassa. E psicoterapia. Eventualmente anti-epilettici. – Poi ci sentiamo al telefono, io non sono come certi ginecologi furbastri che fanno venire la paziente in visita ogni sei mesi, tanto la situazione è sempre uguale. Mi dicono loro se col dolore va un po’ meglio. –
I neurolettici li ho già provati tutti nei tentativi precedenti in cui si era stabilito che il mio problema fosse psicologico. Non hanno cambiato la situazione di una virgola. Avevo provato anche gli ansiolitici. Mi mancano giusto gli antiepilettici e me li faccio prescrivere, mentre il professore mi comunica che “l’effetto placebo”, lungi dal non esistere, funziona. *****
Mi dice anche che di dolore neuropatico soffrono soprattutto le donne, e che si tratta sempre di donne che hanno paura di tutto e sono iper-reattive. Insomma, esagerate. Mi domando se sia un ragionamento giusto da fare e se non siano stati invertiti i fattori commettendo un errore logico piuttosto comune: chi è più sensibile al dolore tende a soffrire maggiormente di dolori cronici, oppure chi soffre di un dolore cronico tende a essere ipersensibile ad altri dolori proprio a causa di un dolore sempre presente? Praticamente: se una persona ha mal di testa, ci si può aspettare che reagisca a dolori aggiuntivi come chi non ce l’ha?
Me ne vado dopo due ore di incontro, che mi costeranno 302 euro in intramoenia allargata.
Non avevo osato dire al professore che avevo “studiato su Internet”: so quanto questo, giustamente, faccia arrabbiare chi ha studiato una vita. Però torno su Internet e ci trovo proprio lui, che in un video di sei anni prima dice le stesse identiche cose che ha detto a me, non una di più. Vado anche a cercare informazioni sulla “bocca urente” e leggo che la terapia usata per questo disturbo è esattamente quella suggeritami dal professore, ghiaccio compreso. Insomma, bocca e vagina sembrano avere per lui una valenza simile.
Mentre il professore parlava di donne settantenni che soffrono di vuolvodinie (e immagino anche di perdite urinarie) e donne che dicono di avere l’uretrite ma è solo un dolore neuropatico, mi è venuto in mente che forse invece l’urina c’entra. Forse c’entra la sua composizione più o meno caustica per le mucose, c’entra la posizione del meato urinario rispetto al vestibolo e come l’urina viene espulsa. Forse c’entra la sensibilità ai componenti della carta igienica, passata più volte proprio sul vestibolo. Perché questa è l’unica costante che riesco a trovare in tutti questi decenni di dolore. Ho fatto qualche ricerca sul Web anche in inglese (su Google Scholar) e ho trovato qualche ipotesi a supporto della mia tesi da parte di alcuni dermatologi, ma niente di illuminante o che suggerisse una soluzione. Ho anche scoperto che la vestibolite colpisce quasi ed esclusivamente le donne di razza bianca.
Avrei voluto che il professore mi ascoltasse di più e non ignorasse i sintomi che riferivo e che non supportavano la sua teoria. Mi sarei anche aspettata che mi facesse fare altri controlli. Un urologo e un dermatologo, per esempio, con esperienza e casistica del problema. Vestibolite, Vestibolodinia, Vulvodinia, alla fine sono termini descrittivi di uno stato di fatto: significano soltanto infiammazione di, dolore a. Esiste anche la laringo-dinia, se è per questo, cioè il mal di gola. Solitamente causata dalla laring-ite. E siamo daccapo.
Finché all’interno di questa diagnosi dialettica saranno inserite praticamente tutte le donne con un dolore in quel distretto, senza individuare sintomi prevalenti e principali cause scatenanti, sarà difficile capire quali cure sono più efficaci. Ci sarà chi sta meglio con gli antidepressivi, chi con un cambio di dieta, chi con la chirurgia, chi applicando l’olio di mandorle, chi facendo fisioterapia. E chi provando tutto questo insieme non otterrà nulla, o addirittura peggiorerà. La conseguenza è ciò che già si vede su forum e social, anche per altri disturbi: confusione, ipocondria, allarme sociale e tanta gente che ricava guadagno da tutto questo. Un solo tubetto di pochi grammi di gel lenitivo costa 20 euro.
Il fatto che il disturbo coinvolga l’organo sessuale femminile dà luogo inoltre a una serie di inconsapevoli quanto antichi cliché che riportano a diagnosi ottocentesche di isteria uterina, come quelle di cui è stata oggetto anche Giorgia Soleri.
Io sarò nevrotica e anche femminista maligna, ma mi chiedo: se un uomo soffrisse di un bruciore urente cronico intorno al glande, per esempio, il professore proporrebbe anche in questo caso una cura con antidepressivi e psicoterapia in prima battuta, dicendo a un paziente maschio e in età riproduttiva: “Sa, quando ho studiato io ci dicevano che chimica, fisica e biologia erano le uniche cose sensate, il resto tutte fantasie. Ma io ho imparato nel corso del tempo che c’è anche lo spirito.” ? ****** “
* Una buona percentuale di pazienti che arriva da uno psicoterapeuta è costituita proprio da persone con disturbi fisici per i quali i medici consultati non riescono a trovare una diagnosi o una cura. Contrariamente ai medici, la maggior parte degli psicoterapeuti ha pochi clienti e guadagna poco, quindi un paziente in più, qualunque cosa abbia, è sempre benvenuto. La tendenza è quella di tenerselo, che male non gli fa.
Pur patendo io la stessa condizione dei miei colleghi, non riesco a tacere su alcuni aspetti etici e di onestà intellettuale: un medico ha senz’altro il diritto e il dovere di chiedere la consulenza di uno psicoterapeuta per il suo paziente (così come quella di altre figure mediche), ma non di fare una diagnosi e stabilire a priori che il disturbo “è solo psicologico”, perché non ha i titoli per farlo, così come io non ho i titoli per fare una diagnosi medica. Da psicoterapeuta e psicosomatista vorrei dire ai medici e ricordare ai sessuologi – che ho spesso visto fiondarsi come falchi su problematiche come quella citata nell’articolo – che l’inconscio non è così preciso: un dolore come descritto da questa paziente, specifico, invariato negli anni, e che non investe un intero organo o funzione ma che addirittura si localizza in un punto (il vestibolo) che molte donne non sanno neppure di avere, potrà avere molte cause, ma non metterei quella “psicologica” come prioritaria. Un conto è la contrazione involontaria dei muscoli pelvici alla penetrazione; un altro è un dolore fisso dall’infanzia che peggiora allo sfregamento, sessuale o meno.
** Il termine disturbo funzionale è spesso oggetto di fraintendimenti e viene usato con significati diversi. Sottende il fatto che in presenza di una sofferenza fisica, non risultino cause organiche evidenti (al momento delle attuali conoscenze). Spesso si trasforma in un modo sofisticato per dire che il paziente sta esagerando, probabilmente per motivi psicologici. Il termine però era stato originariamente creato per definire un disturbo, più che dell’organo, della funzione, cioè del modo in cui l’organo è gestito o interagisce con gli altri organi. Un esempio di facile comprensione è quello dei disturbi – soggettivi e a cascata – creati da una cattiva postura o da un uso sbagliato del movimento combinato di alcuni muscoli, per esempio quelli preposti alla deglutizione: un modo “disfunzionale” di deglutire la saliva, a lungo andare può causare tensioni temporo-mandibolari, dolori cervicali, spostamento della dentatura, difficoltà di respirazione, etc…
Dolore neuropatico, disturbo psicosomatico e disturbo funzionale NON sono sinonimi e non devono essere usati come tali, altrimenti si rischia di impoverire la diagnosi invece di renderla più accurata.
*** L’anamnesi superficiale da parte dei medici è un fenomeno molto diffuso. Si attengono a un protocollo standard senza adattarlo alla situazione. In un caso come questo, senza timore di sembrare presuntuosa, ritengo che sarebbe stato opportuno chiedere qualcosa sulle abitudini sessuali, sull’assunzione di sostanze o comportamenti alimentari particolari, ma soprattutto sulle attività principalmente svolte dalla paziente: che lavoro fa? Sta seduta tutto il giorno o fa l’istruttrice di nuoto in piscina, per esempio? Ha altre zone del corpo dove si manifestano sintomi simili? Ha disturbi dell’umore noti? È seguita da qualche sorta di terapeuta?
Un’altra cosa che sarebbe importante capire, se ci si vuole davvero prendere cura di un paziente, è il suo livello culturale e la sua capacità di comprensione delle eventuali spiegazioni, oltre alla sua capacità di analizzare le proprie sensazioni e di riportarle con maggiore o minore precisione. Ci sono persone che sembrano abitare in un corpo che non percepiscono adeguatamente, ma altre che sanno ascoltarsi molto bene e possono dare indicazioni preziose, soprattutto nei casi di difficile diagnosi.
**** I neurolettici in questione si sono poi rivelati essere dei farmaci antidepressivi: Cymbalta, Efexor e Laroxyl. Nei casi di dolore di tipo neuropatico si usano spesso psicofarmaci, in particolare gli antipsicotici atipici, con risultati molto soggettivi. In generale gli antidepressivi, come anche gli anti-epilettici, tendono tra le altre cose a intorpidire leggermente le sensazioni e a frenare i pensieri, quindi sia la percezione del dolore, sia la rimuginazione su di esso, possono diminuire. Se c’è anche un effetto sul miglioramento dell’umore, si ottiene una maggiore soddisfazione del paziente.
***** Quando si vuole creare un “effetto placebo”, di solito NON si dice al paziente che un certo farmaco potrebbe funzionare anche così. Se le sperimentazioni che mirano a verificare l’efficacia di un farmaco rispetto a un placebo sono fatte in doppio cieco, un motivo ci sarà.
Poter parlare finalmente di un problema e vederlo riconosciuto senza essere accusati di stranezza, potrebbe portare a un immediato alleviamento del disturbo, ma in tal caso non si tratta di effetto placebo ma di effetto liberatorio, anch’esso terapeutico.
****** Purtroppo il concetto di psicologia risulta sfuggente a molti di coloro che la menzionano e si considerano intenditori della materia. La psicologia non pretende di essere lo studio dello spirito o dell’anima umana. Non pretende neppure di essere “scientifica”, ma quantomeno prova ad avere una certa coerenza di pensiero.
Convegno: “Vulvodinia e Neuropatia del pudendo: un dolore senza voce” del 12 novembre 2021
Grazie, ho condiviso. Bisogna che si sappia di più su questo problema, senza vergognarsi e bisogna che i professionisti collaborino invece di fare i guru.