Libri digitali e le loro implicazioni etiche sconosciute
Chi si occupa di editoria digitale è attualmente bloccato nel tentare di risolvere il grave problema delle “carenze” dei libri digitali, a cui pare manchino cose importantissime, come:
a) il romantico e mai prima tanto apprezzato profumo della carta.
b) la possibilità di fare le orecchie alle pagine.
c) un peso adeguato a renderlo oggetto oggettivo.
d) il vantaggio fondamentale di poter essere, più che letto, esibito, e soprattutto incastonato in base all’altezza e al colore nella libreria del soggiorno.
Come se uno dicesse che non vuole ascoltare la musica digitale perché vuole poter tenere in mano il disco in vinile e rimirare la copertina, per poi impilare tutto in bella vista. Attività senz’altro piacevoli, ma essendo il piacere della musica soprattutto l’ascolto, marginali. E così dovrebbe essere per la lettura: il contenuto letterario, nel libro digitale, rimane lo stesso.
La verità, forse, è che quasi a tutti piace ascoltare musica, mentre leggere… insomma. La musica digitale ha diminuito la qualità dell’ascolto, rispetto ai dispositivi che c’erano prima: il CD era già peggio del vinile, il file audio è peggio del CD. Eppure, nessuno si è opposto.
La lettura digitale non abbassa necessariamente la qualità della lettura, anzi: grazie alla possibilità di aumentare la dimensione del carattere e modulare la luminosità della pagina può renderla più agevole, soprattutto in certi contesti. Il libro digitale può contenere un vocabolario, consultabile senza abbandonare il testo, e allo stesso modo rende facile approfondire i concetti. Chi ama davvero leggere spesso ha un e-reader anche per questi motivi.
Gli altri si giustificano con una pigrizia informatica che non li aveva colti quando si è trattato di imparare a scaricare gratis musica e film, ma che purtroppo li paralizza se si tratta di capire come scaricare la app di lettura gratuita Kindle sullo smartphone.
Eppure tutti leggono i giornali online (la carta di quelli non piace più a nessuno, a quanto pare) e sembrano non accorgersi di leggere anche molto altro testo non cartaceo, tra messaggi e social network. C’è poi un altro fatto interessante: il gusto del testo su carta, per questi lettori raffinati, pare non estendersi alle figure, che sono invece consumate voracemente su supporti digitali, e senza nessuna difficoltà.
Non conosco persona che si dichiari “lettore abituale” che non sia anche a favore dell’ecologico, del riciclo, dell’arte accessibile a tutti, del viaggiare come forma di apprendimento; e che non sostenga, virtuosamente, la teoria secondo cui la cura del degrado, della povertà e della disuguaglianza sociale, consista nella cultura, nell’informazione e, in prima battuta, nella lettura.
Tutti d’accordo.
Il paradosso è che proprio viaggiando (può un vero viaggiatore-lettore portarsi dietro 5 chili di libri, quando può tenerne centinaia in un oggetto che pesa duecento grammi?) si scopre che nel Terzo Mondo – quello dove abita più della metà della popolazione mondiale e dove la deforestazione, fatta anche per fabbricare carta, è una triste piaga – le persone abitano in case prive di spazio sufficiente a inserirci un soggiorno con libreria dell’Ikea.
Manco le mensole, hanno.
Le poltrone scarseggiano, persino più dei tavoli e delle sedie, così come l’elettricità. Imbarazzante a dirsi, manca la luce per leggere la sera e in gran parte di questi posti fa buio dalle diciotto alle sei, tutto l’anno.
Se davvero vogliamo che i ragazzi poveri del mondo leggano, studino e facciano i compiti dovremo fornire loro luce, sedie, e uno spazio adeguato dove poter tenere i libri e consultarli in pace. Soprattutto, dovremo procurare loro un deumidificatore, di quelli potenti, perché molte di queste persone vivono in climi tropicali, dove il nostro prezioso oggetto-culto si trasforma in una pagnotta ammuffita nel giro di pochi mesi. Anche il suo odore smette di essere attraente, tranne per i topi e altri animali che noi occidentali dei climi tecnologicamente temperati non abbiamo mai visto, non dentro la nostra casa, almeno.
In molte aree di India e Africa, i quaderni scolastici dei bambini hanno le orecchie: si accartocciano presto, per quanto l’allievo tenti di essere ordinato. Loro stirano le pagine del quaderno con le mani sudate ogni volta che ci devono scrivere sopra, e le pagine diventano presto nere e illeggibili. Noi del mondo ricco, pieni di buone intenzioni, spediamo ai bambini del terzo mondo album da colorare, fatti con gli alberi delle loro foreste, con l’acqua che a loro manca, e a volte stampati in tipografie dove altri bambini respirano vapori d’inchiostri tossici. Diventano presto colture biologiche nei magazzini delle Ong che non li bruciano per tempo. Il loro trasporto, così come la distribuzione dei libri nelle nostre librerie, costa enormi quantità di carburante.
Eppure, in questo mondo povero, con nostro indispettito disappunto, la maggior parte dei ragazzi ha uno smartphone. Spesso di marca sconosciuta al mondo dei controlli qualità, usato, rubato, con la batteria finita. È il loro unico punto di contatto con l’esterno, e loro trovano mille modi per ricaricarlo, spesso incredibilmente creativi. Lo usano soprattutto per scaricare e ascoltare musica. Per il resto del tempo, i loro telefoni sono bombardati ogni cinque minuti da pubblicità e propaganda scritta.
Se invece potessero avere accesso a qualche romanzo digitale gratuito, scritto nella loro lingua, forse scaricherebbero anche quello. Perché tradurre un libro in Swahili, stamparlo, spedirlo dove neppure Alibaba osa effettuare spedizioni e dove non può essere conservato né distribuito, avrebbe un costo eccessivo per qualunque editore. Però tradurlo e metterlo online sarebbe possibile.
Se solo i libri digitali diventassero popolari e il business dell’editoria digitale proficuo, qualcuno potrebbero togliersi lo sfizio di fare qualcosa di etico ed ecologico per chi non ha accesso ai libri di carta.
L’eBook sta incontrando gli stessi ostacoli che ha incontrato la musica digitale quando ha iniziato a diffondersi. Non conviene ai produttori e, soprattutto, ai distributori tradizionali, quelli che hanno davvero le redini dell’editoria italiana in mano.
Quindi è poco pubblicizzato, se non addirittura ostracizzato.
Per lo stesso motivo, le case editrici che sono comunque costrette a pubblicare un libro anche in formato digitale, lo mettono in vendita a un prezzo di poco inferiore a quello cartaceo, per scoraggiarne l’acquisto.
A perderci, con il libro digitale, sono innanzitutto gli stampatori e i distributori del libro cartaceo. Ci guadagnano gli autori, i pochi editori digitali seri e senza padrone, e chi non può avere accesso ai libri cartacei. Cioè proprio quelli che tutti diciamo di voler aiutare.*
L’unica categoria che può contribuire alla diffusione del il libro digitale è il consumatore, decidendo per una scelta consapevole, economica, ecologica, artistica e di ampie vedute sociali. Non significa rinunciare ai libri di carta, così come ascoltare musica su un lettore musicale non significa rinunciare ai CD o ai dischi in vinile.
L’estate è il momento giusto per provarci. Esibire un e-reader in spiaggia fa chic, e soprattutto nessuno vede che si sta leggendo un polpettone di nessun valore letterario, che sfigurerebbe nella libreria del soggiorno. Vuoi mettere la soddisfazione di averlo comprato al prezzo dell’usato, averlo scaricato in tre secondi e averlo eliminato con un click, senza che l’umanità ci abbia perso nulla, ma solo guadagnato?
* “La Nigeria è lo Stato dell’Africa subsahariana in cui vengono scritti più romanzi, anche se l’instabilità economica e politica, l’inadeguatezza dell’editoria, il persistente analfabetismo e la terribile guerra civile seguita al tentativo di secessione del Biafra hanno ostacolato la circolazione dei libri. “
Claudia Carmina
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