Trataka, l’esercizio yoga di fissazione della candela: quando è meglio NON farlo
Lo yoga è tecnica raffinata di conservazione dell’agilità e della salute psicofisica:
5000 anni di pratica hanno prodotto migliaia di esercizi e di teorie, e migliaia di praticanti hanno approfondito gli effetti degli esercizi più diffusi.
Molte teorie si sono sviluppate da questa “filosofia del corpo e dell’anima”:
alcune estreme, altre basate su principi opposti, ma non necessariamente contraddittori. È sempre importante conoscere e contestualizzare il principio che sta alla base di un determinato esercizio. In questo caso verrà analizzato l’esercizio di fissazione della candela, chiamato TRATAKA.
Trataka NON è un esercizio per la salute degli occhi:
è un esercizio di meditazione che sfrutta la possibilità di provare sensazioni diverse che gli occhi SANI possono procurare, se messi in condizioni un po’ “estreme”. Consiste nel fissare una candela a occhi aperti, il più a lungo possibile, senza battere le palpebre, fino a quando gli occhi lacrimano. Alcune versioni raccomandano di continuare a fissare la candela anche dopo che gli occhi hanno iniziato a lacrimare. Altre suggeriscono di chiudere gli occhi non appena iniziano a bruciare e di concentrarsi sull’immagine che si continua a percepire anche dietro le palpebre chiuse.
In qualunque caso si tratta di un esercizio di resistenza e di controllo dei sistemi di allarme di un corpo, che non tenderebbe certo all’immobilità prolungata e che si difende da una eccessiva stimolazione di un sensore lacrimando e bruciando. Una specie di campanello d’allarme giusto e sacrosanto.
Gli esercizi di resistenza (contro il dolore, contro la fatica, contro certe sensazioni) sono comuni a molte tradizioni culturali e hanno un loro senso. Ci insegnano a gestire le nostre sensazioni con consapevolezza e spesso ci rafforzano, fisicamente e caratterialmente.
Questo esercizio, tolto dal contesto mistico, non è molto diverso da alcuni famosi esercizi di resistenza dei marines, a cui, almeno nei film, s’impone di stare sull’attenti sotto la pioggia, sotto il fuoco nemico, sopportando zaini pesantissimi e via dicendo. La resistenza ci consente di spostare in avanti i nostri limiti, aumentando l’autostima e la fiducia in noi stessi. Si raggiunge anche una maggiore resistenza fisica, con maggiori prestazioni muscolari e di concentrazione.
Insomma, il cervello protesta, ma come un bambino, se spinto un poco oltre, potrebbe ringraziare per avere imparato qualcosa di nuovo ed essere stato stimolato DIVERSAMENTE DAL SOLITO. Attenzione però: il SOLITO ci deve essere, come base di partenza. E deve essere DIVERSO.
Nel caso di questo esercizio, il SOLITO è (come è sempre stato per la maggior parte della popolazione indiana del passato) occhi e vista sani e funzionanti. Un breve periodo di iper-stimolazione e di tensione dell’apparato non mette necessariamente a rischio la salute. Potrebbe invece portare ad apprezzare meglio le proprie capacità quando si ritorna alla normalità: queste sembrano rinfrescate e si pone loro un’attenzione maggiore.
Se il SOLITO è però l’abitudine alla fissità, allo sforzo visivo e al non battere le palpebre con regolarità, come accade a molti miopi, questo esercizio potrebbe rinforzare tale abitudine e a mettere sotto stress un sistema visivo già provato.
Anche in questo caso non ci sono verità assolute: portare all’estremo, esagerandola, un’abitudine scorretta, potrebbe consentire una maggiore consapevolezza, ma non è un consiglio che si può dare a tutti indistintamente. In ogni caso è necessario affrontare questo esercizio sapendo di cosa si tratta e quali siano i rischi in caso di problemi visivi. Non lo si può semplicemente fare con la speranza che risolva magicamente tutto: lo yoga è una tecnica complessa, composta di molte capacità che s’imparano per gradi, non è una religione miracolosa.
Ragionando con buonsenso, chi ha problemi visivi, prima di dedicarsi a esercizi controversi e che richiedono capacità particolari, e soprattutto un corpo già allenato e sano, può dedicarsi a pratiche più semplici e sicure che insegnino la consapevolezza dei movimenti di occhi e palpebre.
Il miope in particolare dovrà esercitarsi al rilassamento e non alla tensione visiva auto imposta, cosa che di solito gli riesce fin troppo bene.
Chi soffre di problemi visivi deve innanzitutto imparare a inseguire un bersaglio in movimento, senza imporre agli occhi sforzi non necessari o controproducenti. Questo è un obiettivo che si ottiene allenandosi al movimento oculare fluido, non alla fissità.
Bibliografia
– Vista perfetta senza occhiali – di William Bates, edizioni Macro, traduzione di Mauro Teodori e Loredana de michelis
– Preferisco vederci chiaro e riuscirci senza lenti – di Loredana de Michelis, edizioni Amrita. Anche in formato digitale
– Il Metodo Bates & gli occhiali stenopeici: l’investigatore Toponi risponde – di Loredana de Michelis, formato digitale.
Come scegliere un buon educatore visivo
Metodo Bates, educazione visiva e percezione
Video-lezioni di Metodo Bates e Visotonic