La mia gatta guerriera
Il veterinario si toglie i guanti in maglia di ferro e mi restituisce la gabbia dentro la quale giace come morta la mia gatta guerriera. Per farle l’esame del sangue e quello delle urine hanno dovuto bendarla, garrotarla, spingerla con il muso contro il muro, strizzarla tra due grate scorrevoli e infine anestetizzarla con la carabina.
– È un gatto molto nervoso – mi dice, pieno di cerotti freschi. Ha la faccia di uno che mi metterà in conto i danni all’ambulatorio che la mia belva è comunque riuscita a fare, nella sua disperata lotta per la sopravvivenza contro il nemico.
Io mi sento in colpa e abbasso gli occhi sotto lo sguardo drogato di questa creatura stanca e bellissima. So che per quanto mi ami non può perdonarmi un tradimento che considera senza un perché.
Ha un problema di salute comune nelle gatte sterilizzate, che nel suo caso è particolarmente accentuato: nella sua vescica si formano cristalli di struvite e quando aveva un anno è stato necessario operarla e asportarne uno del diametro di quasi due centimetri, dai bordi molto taglienti, che rischiava di ucciderla in modo dolorosissimo. Affinché questo non succeda di nuovo – Non possiamo mica metterle la cerniera e aprirla tutti gli anni, aveva detto il veterinario – dovrò nutrirla per tutta la vita con del cibo medicato specifico, che costa 38 euro al chilo. Anche adesso che è a dieta e cerco di farla mangiare poco, spendo meno per mangiare io.
Se rileggo gli ingredienti di queste crocchette preziose, ci trovo un 24% di carni, una serie di additivi che dovrebbero servire a evitare i calcoli urinari, aromi, conservanti e un restante 70% di cereali e granaglie.
A parte il fatto che i gatti sono carnivori, mi chiedo dove i fabbricanti di cibo per gatti recuperino questi cereali e quanto li paghino. So che la destinazione di questi alimenti è determinata da una classifica basata sulla loro qualità: per umani, per animali da macello, buoni solo per concime, contaminati.
Guardo ancora la mia gatta guerriera, che ora sta controllando la sua casa, da cima a fondo, barcollante e risentita. Vorrei cucinarle un merluzzetto fresco, appena scottato, un’aletta di pollo bollita con un po’ di rosmarino per dare sapore.
Vado al Prix. Una bustina da 100 grammi di cibo umido per gatti costa 40 centesimi. Dentro c’è: acqua, aromi, conservanti, coloranti, 4% di carni, il resto: granaglie e cereali. Sempre al Prix, una confezione di tonno al naturale, per il quale la mia gatta fa pazzie di torcibaffi, salti e occhi rutilanti, pesa 240 grammi e costa 1 euro. Concludendo, il cibo più economico per gatti costa quanto il tonno per umani.
Vorrei ribellarmi. Mi rivolgo perplessa ai gattari dell’Ente Protezione Animali, che ogni tanto aiuto, e che hanno sempre qualche critica da fare a chiunque su come si debbano trattare gli animali. Faccio il mio spiegone illuminato: nel cibo per gatti, che vergogna, solo scarti di produzione agricola.
Con la solita incoerenza mi rispondono che ai gatti non si può dare sempre crocchette, è come se una persona mangiasse sempre e solo patatine. Bisogna dargli l’umido, quello delle scatolette.
Cerco di spiegare che crocchetta sta per cibo disidratato, mostro la lattina con gli ingredienti del cibo umido, che sono identici agli ingredienti di quello secco, com’è ovvio, a parte il fatto che nell’umido c’è più acqua e più conservanti.
Mi rispondono che quella almeno è carne e non patatine.
Provo a dire che il tonno costa uguale e sarebbe più sano.
Mi rispondono che sono vegetariani e che anche il tonno è un animale, nel caso non ci avessi pensato.
Io l’ho pensato, ma non osavo dirlo. È un peccato sacrificare un animale innocente, dignitoso e intelligente, quando c’è la carne di tutta la sottospecie funghina di umani ottusi e imbecilli che muoiono spontaneamente e marciscono inutilmente in casse di legno trattato, che finiranno per intossicare tutti i tarli.
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