Isola di Icaria e il mito di Icaro: tutto da rifare
Di Icaro la mitologia non ci racconta molto, se non che volò troppo vicino al sole. La cera con cui erano attaccate le sue ali posticce si fuse a causa del calore, queste si staccarono, lui tentò di volare sbatacchiando le braccia, ma non servì a niente. Precipitò in mare e lì scomparve.
Gente moralizzante – quella che ha sempre fretta di sparare sentenze – ha fatto della disavventura di Icaro la metafora malaugurante del presuntuoso, colui che vuole raggiungere mete che sono al di là dei suoi mezzi e finisce per fallire miseramente.
Prima di giudicare Icaro e la sua ingenuità giovanile, però, bisognerebbe avere conosciuto suo padre, Dedalo. La personalità dei genitori è fondamentale per lo sviluppo equilibrato dei figli, e avere come padre uno che di mestiere costruisce labirinti intricati, dai quali cerca di farti scappare incollandoti penne di gallina sulla schiena e dicendoti “adesso voliamo”, non è un buon inizio.
Inutile poi, a danno psicologico oramai fatto, cercare di lavarsi la coscienza con le solite raccomandazioni: “Rimani in quota, non salire che tanto è un volo breve: Creta – Salento”. I figli, dopo, non si fidano più.
Icaro è precipitato sotto gli occhi di quel fanatico di suo padre, che ha proseguito il viaggio imperterrito, atterrando incolume e berciando allegro “Alae sanae!”, cioè: “Ali integre: che bene!”, esclamazione da cui sarebbe poi stata fondata la città salentina di Alessana, luogo appunto dell’atterraggio. Anche il fatto che Dedalo, un greco, si congratulasse con le sue ali finte parlando in latino, conferma il sospetto che avesse una personalità contorta e confusa.
Si dice che Icaro fosse nato a Creta e che Dedalo fosse di Atene, ma nessun altro tranne lui avrebbe potuto costruire la strada che attraversa l’isola di Icaria da nord a sud, e che si snoda per quaranta chilometri lungo una catena di montagne alte mille metri.
I tornanti di questa strada possono curvare anche di 350 gradi, per offrire una panoramica migliore del burrone sul quale sono sospesi. Un’ora e mezza di viaggio durante il quale sembra proprio di volare, sia per la costante inclinazione del mezzo, che pare sempre in decollo o in picchiata, sia perché manca qualunque segno che possa indicare la presenza di una strada sotto le ruote, tipo dell’asfalto, della ghiaia, un sasso, magari un guardrail.
Questa strada, che avrebbe potuto essere costruita lungo la costa e invece sale a quote molto vicine al sole e ridiscende senza un motivo, è l’unica che attraversa l’isola. Non passa per nessun villaggio. Si limita a trasportare la gente dal porto di Agios Kirykos, dove si arriva con la nave, ad Evdilos, da dove la nave riparte, tanto per creare maggiore confusione.
Il bus che la percorre è un mezzo revisionato e assicurato secondo le regolamentazioni dello stato dello Yemen. L’autista è ovviamente un discendente diretto della famiglia di Icaro: non ha il minimo senso del pericolo, manca totalmente di praticità, con una mano si gratta un orecchio e guida con il ginocchio perché con l’altra sta digitando al telefono. Per meglio affrontare il sole in quota, che dalla storia c’è sempre da imparare, indossa degli occhiali da sci sulla fronte.
Non si bruciano soltanto le ali, capita anche ai motori. Trovare qualche mezzo fumante piantato in piena curva cieca su precipizio, fa parte dell’emozione della gita. Così come l’autista che va a fare pipì nel bosco dopo avere fermato il bus su una pendenza del 30% con il motore acceso, il freno a mano tirato e tutti i turisti a bordo, che attendono ansiosi il suo ritorno spiando attraverso i vetri appannati dall’aria condizionata fissata a 5 gradi centigradi.
C’è un passaggio strettissimo, proprio in cima alla montagna più alta, dove la strada passa direttamente sul picco, che è stato spianato quel tanto che bastava. Da lì si contempla tutto l’Egeo in ogni direzione. Ci sono le aquile, l’aria è frizzante e la morte ti dà pacche d’incoraggiamento sulle spalle. La montagna è così alta, spoglia, ripida su entrambi i versanti, che si capisce subito che è troppo vicina al sole; Icaro, semplicemente, ha tentato di scendere dal bus. Solo che il predellino affacciava già nel vuoto. Il resto della storia è tutta una copertura per il difetto di progettazione della larghezza della strada.
C’è anche chi dice che in fin dei conti in Grecia si trovano strade peggiori. Questo perché non ha calcolato la lunghezza del percorso, l’altitudine e la forza del vento, soprattutto se si affronta la strada in motorino. Anche nei giorni di bonaccia, comunque, rimane l’incognita del bus che fa retromarcia su tornante in forte pendenza e senza visibilità, per far passare l’altro bus che proviene da direzione contraria. Quando finalmente i due autisti trovano un punto in cui riescono a incrociare i loro mezzi, sostano sulla pendenza con i freni a mano tirati e i finestrini affiancati, facendosi i complimenti per mezz’ora. Ai passeggeri non resta che approfittare del momento per spostare le tendine, che avevano chiuso per legittima difesa, snebbiare i vetri appannati e godersi la vista mozzafiato. Così mozzafiato che tutti si immobilizzato temendo che qualunque spostamento di peso possa far precipitare il mezzo nel vuoto.
Altri discendenti di questa famiglia disordinata attendono nei luoghi apparentemente più ameni di Icaria, tipo al bar. Ordinando una Coca Cola, può succedere che il cameriere chieda mondanamente se la si desidera con ghiaccio e limone. Di solito l’ignaro avventore risponde di sì, e perché fa un caldo bestia, e perché dopo il giro in bus la morte per congestione sembra un’alternativa invitante. Il bis-cugino di Icaro e di Dedalo ritorna dopo mezz’ora portando un bicchiere pieno d’acqua con dei cubetti di ghiaccio che galleggiano, una lattina di Coca Cola chiusa, e un barattolo di conserva vuoto, sul fondo del quale si sta sciogliendo del ghiaccio tritato. Si dimentica il limone, ma meglio così, che non si sarebbe saputo dove metterlo.
No, la lattina non entra nel barattolo (anche ci fosse entrata, sarebbe poi stato difficile berla). Si tratta in realtà di un’altra trovata di Dedalo, arrivata intatta fino ai giorni nostri: probabilmente, ai tempi, lui aveva sentito parlare di “giochi da tavolo”, e questa è la sua versione.
I sopravvissuti alla traversata in autobus potrebbero avere l’idea di provare a cavarsela tornando indietro in taxi, dopo avere valutato che si tratta di un mezzo più stretto e quindi con maggiori probabilità di avere tutte e quattro le ruote poggiate sul terreno durante il tragitto. Al porto si trova sempre un taxi: è un Mercedes del 1970, ammaccato. L’autista è una donna, grassa, che fuma; capisci che è una parente di Icaro e dell’autista del bus perché tiene il ginocchio appoggiato al volante. Ti chiede 70 euro per il passaggio, ma poi tergiversa e ti dice di tornare mezz’ora dopo, che prima deve bersi un caffè. Tu la rincorri con la cartina in mano, chiedendole se non si può per caso fare l’altra strada, quella che sembra più larga e più corta e che è segnata sulla mappa omaggio del ristorante Papadoupolos, tua unica risorsa in assenza di segnale telefonico. Ma lei scuote la testa: non è asfaltata ed è troppo stretta, la macchina non passa, dice.
Dopo essere andati al porto e avere scoperto che l’unica barca che ogni tanto arrivava dall’altra parte dell’isola è affondata due anni fa, e nella consapevolezza di avere come unica scelta quella tra il taxi scassato e il bus-cella mortuaria volante – ma soprattutto dopo essersi bruciati i neuroni a cercare una soluzione per mantenere la lattina di Coca Cola in fresco – può anche capitare che alla mente si affaccino idee balzane, come quella di fare un dispetto a tutti gli amici e raccomandare l’isola descrivendola come una sorta di paradiso non ancora rovinato dal turismo. Oppure come la nuova Atlantide.
Etienne Cabet ha fatto proprio così: ha scritto un libro nel quale poneva le basi ideologiche del comunismo e l’ha intitolato “Viaggio a Icaria”. Poi però lui a Icaria non ci ha mai messo piede ed è andato a vivere nel Missouri facendo a tutti il gesto dell’ombrello. Qualche comunista comunque l’isola l’ha visitata: pare che il governo greco ne abbia mandati lì in esilio circa 13.000 tra il 1945 e il 1949, condannandoli in sostanza a morire di fame su quello che fu poi soprannominato “Lo scoglio rosso”.
A Icaria, no rules. Non ci sono regole. I negozi aprono e chiudono quando gli va. Il pane si sforna per l’ora di pranzo. Si dice che vi sia un’alta concentrazione di anziani, tra i più longevi del mondo. Di qui la ricetta di lunga vita: non andare mai dall’altra parte dell’isola, spera di non avere mai bisogno di un dentista, e della capra non si butta via nulla.
Per il resto fai il sasso e guarda il panorama. Che è bello, niente da dire.
Ma perché scrivete tutte queste fesserie.