Prato e il panino Pacciani
Dopo un periodo di notorietà, il “panino Pacciani” al lampredotto era stato dato per estinto a Firenze. Il suo inventore, uno dei lampredottai storici della città era scomparso.
Ma si era trattato soltanto di un periodo di lutto, perché è ricomparso a Prato, nella piazza grande a ridosso delle mura. Non è sul menù esposto, forse per una sorta di delicatezza, ma tutti sanno che c’è, ed è a base di lingua e “matrice”.
C’è anche il Panino “Vanni”, farcito con guancia e poppa.
Il lampredotto, un piatto di trippe e frattaglie, è tanto povero quanto tradizionale. Ovviamente è buono come lo sono soltanto le cose cucinate per centinaia di anni, da un popolo che ha cercato la raffinatezza del sapore tanto quanto altre genti hanno cercato l’evoluzione spirituale.
A meno di non essere vegetariani, è meglio non fare tanto gli schizzinosi: il panino al lampredotto è fatto di pane toscano intinto nel brodo caldo, quello serio, misto di trippe a scelta macabra (l’Hannibal è a base di cervella) e salsa in tinta.
Cola da tutte le parti.
Ovviamente non è cosa da turisti. Il nome ispirato al famoso serial killer e il gusto delicato contraddicono le regole di mercato, intonandosi soltanto all’ironia toscana.
Rimane un dubbio però: nel chiosco non c’è lo spazio per tanti pentoloni, e non ho capito se in base all’ordinazione il lampredottaio cerca di volta in volta nel calderone i pezzi che rendono il “Pacciani” diverso dal “Vanni”. Non che sia importante: c’è chi dice che l’idea è sostanzialmente la sostanza, e la sostanza non conta, a parte il fatto che comunque nel panino ce n’è parecchia.
Con la pancia rincuorata, a Prato si può sempre fare una passeggiata per il centro, così bello che John Malkovich ci ha voluto ambientare un negozio, come se fosse stato un film. Ne è uscita una cosa molto chic, dai tavoli con le gambe tutte diverse, che ha lasciato i pratesi piuttosto indifferenti.
Più info tecniche sul magico lampredotto QUI
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