Vedi, a volte, l’Albania. Tirana, soprattutto.
Abitare nei quartieri benestanti spesso impedisce di osservare i mutamenti degli strati sociali più bassi, i cui effetti potrebbero essere di portata globale. Per chi non l’avesse notato, gli albanesi non arrivano più in Italia da qualche tempo, e molti di quelli che c’erano sono tornati a casa. Da noi rimangono i lavoratori a tempo indeterminato, i piccoli imprenditori e alcune sacche di delinquenza che l’Albania ci cede volentieri in cambio dei circa 30.000 italiani, per la maggior parte laureati, che negli ultimi tre anni sono invece silenziosamente emigrati dall’altra parte dell’Adriatico.
Uno scambio insomma, nel quale ciascuno ha regalato all’altro quello che non gli serviva: loro ci hanno guadagnato in cliniche di cura dentale e noi possiamo continuare a lamentarci e a pasticciare con le politiche di ordine sociale.
L’Albania conta meno di tre milioni di abitanti, più o meno il numero di persone che vive a Roma o a Parigi. Le sue montagne sono piene di laghi e di boschi. Le spiagge di Valona, da cui un tempo partivano i gommoni, sono lunghissime e pronte per essere sfruttate turisticamente, così come le coste al confine della Grecia, ricche di fiordi, semideserte, e dalle acque cristalline. Se l’Albania lo volesse, sviluppando un turismo neppure troppo distruttivo, potrebbe mantenere buona parte della sua popolazione.
Le risorse che si stanno sbloccando sono però anche altre: miniere di bauxite mai sfruttate, per esempio, e l’ultimo buon giacimento di cromo d’Europa.
Qualcuno deve essersi accorto di quanto potenziale ci sia in questo piccolo Paese, perché il Kuwait sta corteggiando Tirana a suon di fontane pubbliche a forma di grande samovar. Gli Stati Uniti pagano i restauri e la Germania continua ad aprire banche e supermercati nei Balcani da anni, senza per questo caldeggiare particolarmente l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea, ma piuttosto trattandola alla stregua di una colonia personale.
Anche l’Inghilterra ci ha provato: un parlamentare inglese ha proposto, contemporaneamente alla Brexit, un’alleanza commerciale proprio con l’Albania, a sfavore dell’Unione Europea. Si è beccato una risposta molto civile, ma anche molto decisa del premier albanese: grazie della stima, ma a noi l’Europa piace, non facciamo pasticci.
Il premier albanese Edi Rama, ex ribelle, artista e intellettuale, ha inaugurato un sistema fiscale vantaggioso (tasse fisse al 15%) e una burocrazia relativamente snella al fine di attirare imprenditori esteri nel suo Paese. In un italiano perfetto, ha anche spiegato che in Albania non ci sono i sindacati.
– Perché mai non ci sono? – ha chiesto il giornalista.
– Perché al momento non ne sentiamo il bisogno – ha risposto lui.
L’occasione non è sfuggita a un prototipo berlusconiano nostrano, che già nel 2013 si era precipitato a inaugurare a Tirana un nuovo canale televisivo, ricco di promesse: Agon Channel. Dopo un anno di attività l’imprenditore, che già sognava l’imminente arrivo di un bastimento carico di veline e la nomina a cavaliere, si è visto recapitare un mandato d’arresto per evasione fiscale.
Ecco cosa si era dimenticato di dire Edi Rama agli imprenditori d’assalto: i Balcani non hanno quel senso dell’umorismo, quel savoir faire con le persone che contano. D’altro canto bisogna avere pazienza: cinquant’anni di duro comunismo lasciano il segno.
L’Albania è anche un Paese che ha un milione di cittadini sparsi per il mondo. Ogni famiglia albanese ha un parente che lavora all’estero e che in molti casi può inviargli almeno 50/100 euro al mese. Cifra che aggiunta a un reddito medio di 400 euro fa una bella differenza, visti anche i prezzi bassi dei beni di consumo.
Proprio per questo, e perché le cose sembrano essere finalmente cambiate davvero, molti albanesi che hanno maturato una pensione in un paese straniero stanno tornando a casa, contribuendo così a creare una situazione quanto meno dinamica: nonni che parlano 3 lingue (vantaggio genetico degli albanesi allo studio dei neuroscienziati: pare possano imparare bene una lingua straniera anche da adulti) e che hanno una pensione media di 800 euro, accompagnano orgogliosi i loro nipotini al nuovo Albanian College appena costruito a Durazzo.
In quel college gli insegnanti pare siano tutti baronetti inglesi esperti di arte e di filosofia; hanno inoltre tutti un curriculum con decenni di esperienza nell’insegnamento in Paesi in via di sviluppo.
Altri nonni invece, mantenuti dai nipoti lontani, giocano a domino seduti come dervisci nei numerosi giardini, ora curatissimi, di Tirana. Loro, quelli sempre rimasti in Albania, hanno resistito a cinquecento anni di dominio turco, seguito da cinquant’anni di cortina di ferro tra le più dure che il comunismo abbia saputo concepire.
Sempre dominati, mai riconosciuti, senza neppure una vera storia scritta del loro paese che legalmente ha appena cento anni, si sono persi un po’ di passaggi epocali, tipo il Rinascimento, ma soprattutto il Consumismo: la loro giornata godereccia consiste in un caffè al bar e in una sedia comoda.
Sono frugali e così hanno insegnato ai loro figli e nipoti, che oggi siedono nei mille bar colorati di Tirana con i capelli curati e i jeans alla moda. Hanno uno smartphone ma non bevono, non fumano e non hanno neppure lontanamente quello sguardo perso, arrogante, deluso e competitivo dei nostri.
Ora che noi siamo in crisi e ci angoscia il progressivo diminuire della scelta di merendine al supermercato, loro tengono in gran conto l’istruzione, continuano a comprare verdure striminzite – bada bene: biologiche – vendute agli angoli di strada, e a bersi il caffè di sempre, senza comprendere il nostro problema.
A Tirana stanno aprendo anche grandi centri commerciali. Nella hall del nuovissimo Ring Center c’è persino una bella ragazza bruna ferma sopra un cubo, che fa il manichino vivo e annoiato pubblicizzando il vestito di una boutique; al piano superiore invece si può ammirare l’enorme opera dedicata ai muratori che hanno portato a termine la costruzione.
Appena fuori dall’ingresso, un uomo anziano mette a disposizione dei passanti una bilancia pesa-persone, di quelle che si tengono in bagno. Per pochi centesimi inforca gli occhiali e legge il tuo peso, mentre tu lo guardi dall’alto, immobile sulla piccola pedana scrostata.
– Lo si fa per gentilezza, per non farli sentire inutili. Nessuno ha veramente bisogno di sapere quanto pesa: tanto una volta cresciuto uno pesa sempre uguale.- Mi spiega in ottimo italiano un signore albanese di passaggio, tirando una mazzata inconsapevole ai crescenti problemi di abuso alimentare del mondo ricco che dista poche miglia marine.
I trasporti pubblici ci sono e costano poco, ma in generale tutti considerano normale coprire a piedi distanze che un italiano affronterebbe soltanto in elicottero. Sebbene il Dhal (Kefir) sia il soft drink più diffuso nei bar, il Kebab, lo smog e il micidiale Raki sottraggono all’Albania il primato di Paese con lo stile di vita più sano d’Europa. Non le impediscono comunque di detenere un altro primato, forse in questo momento particolarmente prezioso, che è quello della convivenza religiosa serena e costruttiva appresa in modo rocambolesco nel corso della storia.
Originariamente di religione cattolica e greco ortodossa, agli albanesi è stata imposta la religione islamica per secoli. Area da sempre considerata impervia e periferica, per giunta poco popolata, l’Albania fu utilizzata come landa di confino dagli ottomani, che ne approfittarono per spedirci i poco graditi seguaci di un islamismo permissivo e mistico, detto Bektashismo.
Lo scopo principale dell’occupazione ottomana dell’Albania era quello di reclutare combattenti per l’esercito della Grande Porta, e poco importava che fossero bevitori e si fossero convertiti soprattutto per guadagnare il diritto di andare a cavallo: la loro aggressività e il loro coraggio erano fondamentali, al punto che fu loro concesso di continuare a seguire la legge orale del Kanun, che riconosceva il diritto ai maschi dei clan di ammazzarsi tra loro per questioni di proprietà, di onore o di famiglia.
Il Kanun, che è rimasto in vigore fino ai primi decenni del 1900, considerava la scelta religiosa una questione intima e priva di importanza politica. Le famiglie di religione mista, con una madre musulmana che cucina il maiale in una pentola a parte per il marito ortodosso, e i figli che scelgono il cattolicesimo, sono sempre state considerate possibili, in Albania.
In aggiunta a questo, il cinquantennio di regime comunista si è lasciato dietro un quarto di albanesi atei, e secondo il filosofo sloveno Slavoj Žižek una forma di “sinistra radicale” è il miglior antidoto contro gli estremismi religiosi.
Cos’altro ha lasciato il periodo di religione rossa che ha tenuto gli albanesi isolati dal resto del mondo in un’epoca di grandi cambiamenti storici? Sicuramente arretratezza ma anche qualche inaspettato vantaggio per il futuro: molte scuole, il rispetto per le autorità (“Non capisco perché ogni volta che in Italia eleggete qualcuno, dopo un po’ di tempo lo considerate sempre un cretino e vi vantate di questo”) la voglia di essere finalmente orgogliosi della propria nazione, e persone toste come il premier Edi Rama, uomo politico tra i più ammirati del mondo. Discutibile per alcuni, ma innegabilmente colto e con un quoziente intellettivo superiore alla media, Rama ha collezionato, in oltre quindici anni di carriera politica ai vertici, premi particolarmente prestigiosi e edificanti come il premio delle Nazioni Unite per il suo lavoro contro la povertà e la preservazione ambientale allo stesso tempo.
Capace di essere posato insegnante di lettere, ma anche stratega e sportivo, ha vinto più elezioni democratiche lui di qualunque altro premier europeo. Tre volte rieletto sindaco di Tirana con una maggioranza schiacciante, nel 2004 ha vinto il premio di miglior sindaco del mondo.
Nel 2012 ha tenuto una conferenza in buon inglese (video alla fine dell’articolo), iniziandola con: “Sono qui per amore della politica, perché credo che serva a cambiare il mondo”, e spiegando il suo punto di vista secondo il quale cambiare l’ambiente in cui le persone vivono può cambiare la loro consapevolezza e il loro comportamento.
In pochissimi anni ha abbattuto migliaia di costruzioni abusive nel suo Paese e ricominciato dall’arte e dal colore, con un budget irrisorio. Oggi Tirana, che non può vantare i monumenti storici di altre capitali europee, riserva una sorpresa in ogni quartiere, anche il più periferico, ed è diventata la ghiotta lavagna degli artisti di tutto il mondo, che qui esercitano una libertà per loro inaudita. Piazza Scanderbeg è stata premiata, nel Giugno 2018, come migliore spazio pubblico d’Europa.
Non sono solo le facciate di ex palazzoni grigi ad essere particolari a Tirana: centinaia di persone spazzano la città, e il centro è così pulito che quando si torna in una città normale si viene colti da disgusto e indignazione. Perché è proprio questo che Edi Rama sta facendo: abitua la sua gente al lusso della pulizia, della dignità e dell’ordine, affinché li faccia propri.
Per questo motivo, gli operatori ecologici della città sono scelti tra coloro che, per condizioni economiche e non solo, vivevano accanto ai bidoni della spazzatura.
L’effetto di tutto questo è che in un Paese nel quale è ancora difficile convincere alcuni a pagare la bolletta dell’elettricità, tutti stanno regolarmente pagando una green tax.
Prima che questa nuova storia si compia vale assolutamente la pena di visitare il fermento, lo stupore e le possibilità ancora in divenire di questa nazione. Tirana è oggi una città tranquilla e interessante, con i suoi edifici governativi severi che di notte s’illuminano di blu. Il palazzo del governo ha un fungo psichedelico nel giardino e una pensilina di luci pulsanti al neon nuova di zecca, firmati Philippe Parreno. A Durazzo si beve (con ancora poca scelta) seduti nella spettacolare terrazza sul mare a cui si accede tramite un ponte sospeso, oppure in cima a un grattacielo da cui si gode un panorama a trecentosessanta gradi.
Il lungomare di Durazzo è costellato di palazzoni. Non si poteva trasformare un Paese di questo tipo in un villaggio toscano, ma adesso inizia ad avere un suo senso, perché la storia, per quanto amara, non è più negata. In un giardino di Tirana, vicino alle giostrine vintage per bambini, ci sono pezzi del muro di Berlino a fare da panchine, con tanto di targa, per accettare, capire e trarne il meglio.
Un dignitosissimo albergo in centro, con frigo bar e wifi, costa 40 euro a notte, e Tirana è una città dalle strade larghe e sicure. Non ci sono quartieri “pericolosi o difficili” a differenza dei nuovi ghetti delle altre città europee.
L’Albania rimane ancora defilata, a lavorare duro e a cercare di non distrarsi. Potrebbe riuscire dove altri hanno fallito.
Ha conservato una forma arcaica di cultura europea di cui ora potremmo avere bisogno e ha un premier che crede che si possa cambiare il mondo e che lo ha fatto in pochissimi anni.
A chi, a questo punto, fosse sorta un po’ di invidia per il fatto che proprio agli albanesi sia toccato un leader così, non resta che guardare la sua conferenza con sottotitoli in italiano, e chiedersi perché sia così poco menzionato dai media e dagli altri capi di stato.
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