Il silenzio degli intelligenti
Il Web è cambiato molto: da promessa di scambio d’informazione si è presto trasformato in planetario scambio di diffamazione e disinformazione. Forse è tempo, filosoficamente parlando, di smetterla di credere che la tendenza degli accadimenti sia comunque sempre per il meglio. Sembra piuttosto seguire un andamento circolare e l’invenzione che era sembrata così moderna è diventa ora l’anello di congiunzione con il medioevo.
Oramai è andata, e il Web in futuro sarà considerato come ora lo è la televisione: per trent’anni era parsa la più geniale e democratica forma di diffusione culturale mai inventata, ma poi è finita a proporre programmi dedicati esclusivamente a cerebrolesi.
Il problema adesso del Web non è soltanto la qualità bassamente commerciale dei suoi contenuti, o il fatto che abbia fornito all’ignorante di turno uno spazio che, lungi dall’essere democratico, finisce per renderlo pericoloso: è che tutto questo ha indotto chi aveva qualcosa di utile da dire, a rinunciarci. I pochi che insistono sono costretti ad assumere toni polemici e petulanti a loro volta, in una battaglia che è persa in partenza, per quanto siano calorosamente ringraziati da coloro che hanno capito quando tutto questo spendersi abbia oramai assunto una connotazione eroica.
Nel 2008 mi ero iscritta a Facebook e l’avevo trovato molto più utile di un forum o di un quotidiano: selezionando gli aggiornamenti di persone colte, intelligenti e con interessi che spesso toccavano ambiti a me quasi sconosciuti, scoprivo cose affascinanti che da sola non avrei mai scovato sul Web. Potevo fare domande, ottenere risposte affidabili. Un giornale interattivo che sembrava avere possibilità infinite. Un contenitore sociale che mi permetteva di seguire attività di persone mai incontrate, che dopo un po’ diventavano quasi dei compagni di banco.
Ecco, tutte queste persone mi mancano: vedo ora i loro profili impolverati, immobili come cassetti chiusi a chiave. Non condividono più i loro pensieri: non hanno voglia di discutere con qualunque cretino su qualunque cosa, o giustificarsi per essersi permessi di dire quello che conoscono meglio di molti altri. Non commentano più e non condividono più link: tanto cadevano nel vuoto dell’indifferenza totale, mentre qualunque polemica o foto volgare attirava l’attenzione di tutti. Niente più scienza, musica introvabile, fotografie d’autore, mondi sorprendenti. Niente più stupore felice: solo sdegno o patetica consolazione.
Ma il Web non sono i Social Network, dicevano. Però i Social Network nel frattempo si sono mangiati gran parte del Web, sulla base di un principio fondante e ingenuamente condiviso, ma poco intelligente: quello della visibilità in base alla popolarità. I social hanno reso siti, blog e forum obsoleti, le enciclopedie online un videogioco, l’informazione una vendita manipolante. Sono riusciti a far percepire gli esperti come gente di cui diffidare e contro la quale sfogare il proprio complesso d’inferiorità. Hanno aiutato il giornalismo a cambiare linguaggio fino a rendere scandalistiche anche le previsioni del tempo. In cambio, hanno restituito solo confusione, rabbia e tanta follia.
Ancora più pena mi fanno gli intelligenti che, per la natura del loro lavoro, non hanno potuto sottrarsi a questa egemonia e tentano di conservare una presenza online con equilibrismi molto stressanti, barcamenandosi dolorosamente tra il diritto a guadagnarsi il pane e il dovere di una diplomazia comunicativa che ha sempre più restrizioni: costruiscono faticosamente fragili e mirabolanti castelli, subito distrutti da chi si sente surclassato. La tanto decantata libertà di espressione sta vivendo tempi così bui, che per ritrovarne di simili bisogna risalire a periodi storici imbarazzanti.
Gli intelligenti erano forse preparati al dibattito tra loro, non al totalitarismo di una massa di giustizieri di stapippa senza neppure la responsabilità di un ruolo istituzionale. Non si può investire energie a contro-bullizzare senza rinunciare contemporaneamente all’esercizio allenante della ragione. In questo caso, non vale neppure la protesta: o si rimane intelligenti e ci si astiene, o si scende in campo e ci si instupidisce. E la stupidità non è solo qualcosa che può contagiare chiunque: crea dipendenza.
Io spero che gli intelligenti s’ingegnino a trovare un loro spazio, magari su un altro pianeta, da cui ancora regalarci un’alternativa all’autodistruzione. Fino a ora ci erano sempre riusciti, ma se persino Tim Berners-Lee, che il World Wide Web l’aveva inventato, è preoccupato, vuol proprio dire che le cose si stanno mettendo male: http://www.ilpost.it/2017/03/12/internet-web-2017-tim-berners-lee/
Evan Williams, il fontadore di Twitter è altrettanto scoraggiato
Jon Ronson racconta una storia di cyberbullismo, ma la conclusone è la stessa. .