Plastica negli oceani: come combinare un casino senza risolvere nulla.

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3 risposte

  1. Sara ha detto:

    Grazie, fa davvero riflettere.. e capire che…siam messi male..

  2. Loredana de Michelis ha detto:

    Bene, visto che mi fa l’onore di argomentare ciò che pensa, le rispondo volentieri. Innanzitutto, questo articolo si riferisce in particolare alle isole di plastica galleggiante, larghe chilometri, che si trovano negli oceani, e non nel mar Mediterraneo. Credevo fosse chiaro dal titolo, ma noto che non sempre è così. In secondo luogo, sebbene io abbia diritto di scrivere la mia personale opinione, di solito prima di farlo specifico che è solo un mio pensiero. Quando non lo faccio (e qui non l’ho fatto) è perché parlo di luoghi in cui ho vissuto mesi, andando in giro a fare domande, e mi sono in seguito confrontata con persone esperte. Per esperte intendo persone, in questo caso, che si occupano proprio del problema dello smaltimento rifiuti, che si confrontano e discutono regole internazionali nelle sedi ufficiali e che qualche volta mi fanno l’onore, a seguito di mie domande imbarazzanti, di rispondermi onestamente. Quindi sappia che no, purtroppo fare “qualcosa”, “creare consapevolezza” e “meglio che non fare niente” non valgono. Anzi, spesso sono azioni deleterie, e non sono solo io ad affermarlo. Si figuri se non piacerebbe anche a me pensare di “avere dato un contributo, per quanto piccolo”.
    Il mio contributo è questo, e in sostanza dice: occorre calcolare bene le conseguenze delle azioni, anche quando queste azioni ci paiono buone. Perché questa sensazione di “essere nel giusto” è spesso riferita solo a noi e creata dal nulla da un social media manager. E questo purtroppo non vale solo per l’inquinamento.
    Le faccio un esempio, anche a costo di dilungarmi.L’isola di St. Lucia è un’isola dei Caraibi, 170.000 abitanti. meno turistica della vicina Martinica. Ci approdano “solo” circa tre grandi navi da crociera al giorno (anche 5000 passeggeri ciascuna), per 300 giorni l’anno. Su quelle navi ci siamo noi dei mondi ricchi, che ci siamo concessi una vacanza di lusso e che comprende bibite, cannucce, ombrellini, e tantissimi oggetti di plastica di uso diretto o indiretto. Anche se si trattasse per assurdo di un solo rifiuto di plastica a persona, si parlerebbe di almeno 10.000 oggetti, moltiplicati per 300 giorni: tonnellate di tonnellate. Questa è un’idea (riduttiva) della quantità di spazzatura che viene sbarcata in una sola isola, dei soli Caraibi, dai soli turisti da crociera, in un anno. Si immagini tutte le isole turistiche del mondo. Vogliamo eliminare le crociere? A me va bene. Ma non basterà pagare qualche centesimo a busta in più per mantenere chi rimarrà senza lavoro e i commercianti dei paesi poveri che vivono dell’indotto.
    Le navi da crociera seguono rigide regole internazionali per lo smaltimento di rifiuti. Pagano per scaricare questi rifiuti all’approdo. Non possono girare con tonnellate di rifiuti a bordo. Se diminuissero la quantità di cose usa e getta, dovrebbero aumentare la quantità d’acqua che trasportano per lavare tutto, consumando energia, aumentando i costi e riducendo spazi e servizi.
    Qui c’è un altro pezzo del problema: noi amiamo fare beneficenza, ma non siamo disposti a pagare di più e ad avere meno servizi.
    L’isola prende il denaro e i rifiuti. Dove li mette poi quei rifiuti? Dove gli pare. Controllare non è quasi mai possibile: si tratta di Paesi con governi indipendenti, sui quali non abbiamo alcuna autorità, anche se ci piace pensare che siano dei piccoli zoo gestiti da noi. Pretendere che un governo indipendente renda conto di ciò che fa si chiama Ingerenza e ha conseguenze politiche serie. Ma noi lo faremmo per il bene dell’ecologia mondiale. Sì, ma se lo faccio io, lo può fare anche qualcun altro e magari per altri motivi. Per evitare tensioni internazionali (che costerebbero armi e vite), si lavora di diplomazia, con tempi lunghissimi e risultati spesso deludenti.
    Comincia a girarle la testa e sente il bisogno di una soluzione immediata che la faccia stare meglio? Ecco perché le soluzioni facili si sprecano sul Web.
    Ma parliamo della popolazione locale di St. Lucia, che mangia solo cibo confezionato che costa meno del cibo fresco e del gas per cucinarlo. In Italia, lei può decidere di mangiare solo cibo del suo Paese e probabilmente guadagnarne in salute. Solo che l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo che ha varietà di cibo. A St. Lucia è impossibile allevare bovini, piove la maggior parte del tempo e ci sono monocolture: banane, canna da zucchero, cacao. Qualunque altra cosa deve essere importata, via nave, grossa, perché parliamo di un mare dove onde alte tre metri sono mare calmo. Una mela può arrivare a costare 4 euro. Acque nere e acque bianche si mescolano a ogni grande pioggia e paradossalmente l’isola rimane senz’acqua utilizzabile.
    Cosa dovrebbero fare se non comprare bibite in bottiglia? Chi mette il denaro per costruire un inceneritore/sistema di riciclaggio su un’isola di sole 170.000 persone? Chi paga per rifare il sistema fognario di un’isola vulcanica investita da cicloni stagionali e dove in ogni caso non ci sarebbero i soldi per fare manutenzione in futuro?
    Potremmo pagare noi, invece di disperdere denaro in mille fiumi di simpatiche iniziative che ci piacciono perché ci fanno sentire subito un po’ eroi. Solo che c’è sempre la faccenda dell’ingerenza: chi controlla che tutto sia fatto e il denaro non intascato?
    Per evitarle altra frustrazione (siamo ancora solo alla punta dell’iceberg) le dirò che almeno a St. Lucia c’è una discarica regolamentata. Ci sono andata e non mi dimenticheranno: erano talmente basiti che ci fosse qualcuno lì a fare domande invece di stare in spiaggia, che hanno risposto a tutto senza pensare.
    Spesso in questi Paesi ci sono anche persone del luogo che cercano di sensibilizzare la gente e di dare il buon esempio. Lo fanno a titolo di iniziativa personale e raramente sono aiutate dalle simpatiche e scintillanti organizzazioni che si pubblicizzano sul web. La conseguenza è che loro, essendo davvero là, sono spesso minacciate e a volte uccise per ciò che cercano di fare. Tutto questo mentre noi “facciamo qualcosa” comprando un gadget o pagando una mini tassa, sempre a noi stessi.
    La soluzione? Se c’è non è a portata di click. Però intanto si potrebbe iniziare a imparare qualcosa invece di insegnare: i problemi, quando sono grossi, sono sempre stratificati, con situazioni contraddittorie. Occorre saper individuare chi è veramente in grado di risolverli e questo è il nostro vero difetto: non sappiamo farlo. Grazie al modello di informazione a cui siamo oramai completamente assuefatti, pretendiamo di fare da noi, ma in fretta e senza fatica personale. Noi ci schieriamo e litighiamo tra fazioni. Nel frattempo c’è chi approfitta della nostra presunzione di moralità e crea situazioni sempre più difficili da gestire.
    Queste associazioni sono sbagliate? No.
    Servono? Veramente, no.
    Sottraggono risorse e attenzione a una possibile reale soluzione? Purtroppo sì.
    Perché non ci sono più informazioni serie e dettagliate su questi argomenti? Ci sono, ma sono noiose da leggere e non le condivide nessuno, sono spesso in inglese.
    Vuole fare qualcosa? La prossima volta che è al mare, anche in Italia, vada davvero in porto a chiedere ai pescherecci come funziona lo smistamento dei loro rifiuti, come ho suggerito nell’articolo. Se non le rispondono, scriva davvero un rapporto alla capitaneria di porto. Se ci fossero proteste tante quanti sono i gadget venduti in nome dell’ecologia, le assicuro che ogni porto sarebbe una zona ecologica d’eccellenza.
    Tenga i 20 euro del gadget: a volte servono per prendere un taxi e filarsela alla svelta dopo avere scatenato un vespaio con semplici domande.

  3. Anonimo ha detto:

    Articolo bello e interessante, complimenti.

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