A occhi sempre aperti. La fissità come mito.
Giappone, pubblicità di una marca di cioccolato. La storia racconta di una donna che sta cercando di battere il record mondiale di “occhi aperti” o assenza di ammiccamento. Non chiude mai le palpebre, neppure quando starnutisce. Poi assaggia un cioccolatino e non può fare a meno di assaporarlo a occhi chiusi. Record interrotto, fan delusi, vince il prodotto.
Si tratta di una trovata simpatica e originale, soprattutto per il mondo occidentale. La storia prende spunto da un’antica leggenda giapponese sui samurai e sulle loro tecniche di controllo del corpo, e che narra di Ji Chang, colui che voleva diventare il miglior arciere mai esistito. Ji Chang andò dal maestro, che gli disse che era troppo presto: prima avrebbe dovuto imparare a dormire con gli occhi aperti. Da quel momento inizia un percorso che porterà Ji Chang a stravolgere i suoi meccanismi visivi naturali e a dominarli attraverso la disciplina.
Forzare i limiti imposti all’uomo dalla natura rimane uno dei grandi principi delle filosofie orientali. Esercizi di allenamento alla fissità sono presenti anche nello yoga.
La fissità è però anche uno dei comportamenti più comuni di chi non ci vede bene: William Bates individuò presto nella rarefazione dell’ammiccamento una delle principali cause di tensione e affaticamento visivo; incoraggiava i suoi pazienti a battere più spesso le palpebre, soprattutto mentre cercavano di mettere a fuoco qualcosa. Funziona.
La fissità, al contrario, induce invariabilmente annebbiamento della vista in pochi secondi.
Perché quindi così tanta cultura orientale antica si incentra sul controllo di un meccanismo che funziona meglio se lasciato libero e senza interferenze? A noi occidentali sembra una forzatura inutile, ma noi “siamo superficiali e non andiamo mai veramente in fondo alle cose, quando si tratta del nostro corpo” (cit.). Ammiccare raramente e senza consapevolezza porta soltanto a una vista più scadente. Forzare tutto il meccanismo oltre i suoi limiti e trovare un modo per vederci bene anche in queste condizioni, è considerato invece un superamento dei limiti stessi e quindi una forma di evoluzione. Non tutti ci riescono e molti probabilmente finiscono per pagare caro il gioco. Ma proprio per questo la posta è alta.
Non è cosa da tutti seguire il percorso di Ji Chang, che lo portò a diventare un arciere così abile che non aveva più nemmeno bisogno di impugnare l’arco: era andato oltre. Ma questa animazione, così delicata, che racconta la sua leggenda e che ci trasporta in un altro mondo, di valori e principi completamente diversi dai nostri, è molto interessante: http://www.dailymotion.com/video/x3yiapz
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