Ivo
Dire che a Ivo piace il budino non è esatto: Ivo adora il budino.
Morbidamente, il budino incarna la bellezza e la consolazione dell’intero cosmo: dolce lucore, forma elastica e arrendevole. Ivo la pensa così.
Di notte lui vive lassù, nell’osservatorio. Sotto una una grande cupola trasparente guarda le stelle che lo fissano tremanti. Fende lo spazio col suo telescopio.
Calcola e annota. Osserva e conosce.
Sa che l’infinito è scuro e che risucchia la luce dello sguardo, ma non si fa toccare.
Prima dell’alba, prima che tutto scompaia, Ivo torna a casa e chiude fuori il cielo. C’è un budino fresco che lo aspetta.
I suoi gesti sono gli stessi da sempre: afferra quel lungo coltello affilato che tiene appeso sopra il frigo, si siede, prende le misure e poi affonda la lama con precisione.
Sospira.
È importante che la lama scorra sicura e che il budino non tremi, mentre separa la porzione. Non ci devono essere sbavature.
Ivo odia le sbavature. Odia l’imprecisione, le cose che sfuggono scivolando tralasciate.
Eppure non si considera certo un uomo con il cervello a cubetti e ritiene ragionevolmente di possedere una certa dose di creatività, sebbene questa non abbia trovato ancora una forma d’espressione adeguata. Lui non è un presuntuoso e in un mondo senza cattiveria si accontenterebbe di essere come il budino, appunto: tenero, ma con forma propria; un po’ freddo, ma dolce.
Ivo fissa la parete della cucina e assapora il budino lentamente, sciogliendolo in bocca senza masticare.
Finalmente un budino degno di questo nome. Di quelli industriali, certo, ma dignitoso.
Era un po’ che non riusciva a gustarsi quel piccolo piacere essenziale alla sua felicità. Quella donna, da quando abita in casa sua, gli ha sottratto il diritto a un budino come piace a lui.
Lei, con quella sua fantasia da casalinga. Insiste nel fargli trovare tutti quei budini straziati da fastidiosissime decorazioni. Barchette di panna e pezzi di frutta morta colano vischiosi corrodendo angoli e superfici. Ivo non può più tagliare un budino senza che la lama del suo coltello sia intercettata da un corpo estraneo: un candito, spesso biscotti. Così il budino, corrotto nella sua perfezione strutturale, collassa. E a lui tocca separare i resti col cucchiaio e racimolare ciò che resta, soffrendo di un dolore che gli pare umiliazione.
Lei lo fa apposta.
Di notte la vede dormire in quel suo lettino in anticamera, il corpo senza forma sotto le coperte, grigio come i suoi pensieri riempiti a forza di fiocchetti puerili.
Ma il viso e il collo, così lucenti e lattiginosi nella luce fioca delle scale.
Forse, a toccarle quel faccione con un dito, le si lascerebbe un buco cavernoso.
Ma perché? Perché essere grottescamente torturati da un essere così ameno, senza sangue e senza cervello? Sbaglia forse Ivo a considerare l’assurdità del male piccolo e insensato – privo di vera intenzione, ma che gocciola costante infettando l’anima fino alla follia – il peggior male dell’universo? Quello che andrebbe prevenuto prima di qualunque altro, che proprio da questo originerebbe?
Qual è il peccato del pretendere un budino senza grinze? La qualità della vita è più importante della vita stessa e nella vita dei mortali ci sono poche cose belle: quelle lontane che si possono soltanto desiderare, e quelle vicine, sui cui occorre agire affinché si perfezionino.
Semplice.
Essenziale, com’è tutto ciò che è giusto. Le cose complicate sono false, ridicole e inutili, come quei budini trafitti da maledette cianfrusaglie.
E passa un’altra notte su questa terra.
E lascia altre impurità nel budino.
Quell’essere sospeso nel sonno.
Quell’ammasso molle e inerte.
Pura materia.
Beffarda.
Questa sera Ivo ridiscende in cucina.
Il budino è morto, giace squartato con i biscotti in mostra.
Ma il coltello è pulito, appeso dove deve essere. Ivo lo prende.
Porta sopra anche la sedia.
Dove finisce la scia di profumo alla vaniglia.
Seduto vicinissimo.
La scatola di sonniferi sul comodino.
Chiaro.
Senza sbavature.
Il collo, esattamente nel mezzo. Affonda la lama con precisione. Nessun rumore, nessun ostacolo. Morbido ed elastico come budino.
Sospira.
Altri racconti quasi gotici
La mia amica Edith Wharton e il vizio della lettura (non è un racconto gotico, ma sotto ci troverai un vero commento horror)
Natura morta con Cagnolini
Halloween negli anni ’80, festa in disco con cassa da morto
🙂
Ho ancora i fogli rosa dove avevi scritto il racconto…
Anonimo; vorrei tanto che quello bravo bravo fossi tu, e fossi anche così generoso da dare un esempio istruttivo, almeno a me. Solo che hai usato ben 14 parole e non si è capito una fava, se non che sei inacidito. Perché? Attendo ansiosamente di sapere.
trovane uno bravo.ma bravo bravo.non x il racconto ma x il commento
Autogiustificato egoismo e incapacità di relazione potrebbero essere di entrambi i sessi. La maniacalità della precisione rituale è tradizionalmente un tratto più maschile. Tradizionalmente perché, nella misura in cui si tratta di personaggi e non di persone reali, questi vanno caratterizzati in qualche modo. In questo caso la donna, per quanto poco tratteggiata, non è necessariamente "migliore": è distratta, insiste a fare cose non gradite e inutili, come il riempire il budino di decorazioni, mostrando mancanza di empatia nei confronti delle vere esigenze dell'altro. Il bisogno di "variare" a tutti i costi, è un rituale anch'esso. Dorme con dei sonniferi, è in qualche modo assente, e forse egoista anche lei. Se fosse lei ad uccidere probabilmente…avvelenerebbe: niente penetrazione meccanica, la donna si mescola al torrente sanguigno. Non fende, si fonde.
Davvero notevole. Per certi versi sorprendente per quanto acuto e profondo. Viene da chiedersi: Ivo potrebbe essere una donna oppure nessuna donna è capace di questo autogiustificato egoismo e di questa maniacale ritualità, di questa incapacità di relazione?