Ho seguito la vicenda che coinvolge il produttore cinematografico Harvey Weinstein in quanto molestatore di attrici e modelle, e ho ascoltato la registrazione, che ha dato il via allo scandalo. Non ho trovato una trascrizione in italiano, ma non è difficile da capire, anche per chi parla poco l’inglese.
Nell’ascoltare questa registrazione, e concentrandosi sulla modalità comunicativa di Weinstein piuttosto che sulle sue pruriginose finalità, si scopre che “il terzo uomo più potente di Hollywood e molto vicino a Dio” usa tattiche di manipolazione comuni. Parla in modo concitato alternando toni di comando a toni confidenziali, non lascia all’altro il tempo di pensare, da ordini secchi. Contemporaneamente si pone in una posizione di apparente inferiorità chiedendo un favore minimo (“… siediti qui 5 minuti, non farmi fare brutta figura in questo hotel, giuro che non ti tocco, ti chiedo solo di sederti 5 minuti e di bere qualcosa mentre vado in bagno...“), non dice mai cosa vuole veramente e cerca di confondere l’altro per farlo entrare in contraddizione con se stesso.
In buona sostanza (l’espressione da padrino, qui era d’obbligo) adotta una tecnica di manipolazione: usare l’etica altrui per creargli un conflitto, così che, alla fine, il soggetto trovi meno oneroso ubbidire piuttosto che lottare contro se stesso.
La cosa interessante è che tutti abbiamo subito almeno una volta questa tattica, e l’abbiamo subita da una persona sicuramente meno potente di noi: un mendicante, furbo.
Il mendicante sbuca mentre siamo al bar e coinvolti in una discussione appassionata. La prima cosa che fa è maleducata, ma così veloce che sarà dimenticata presto: interrompe la nostra conversazione, ci viene troppo vicino. Ci confonde e ci obbliga, colti di sorpresa, a prestargli attenzione.
Il mendicante borbotta qualcosa, fa un gesto vago; la sua richiesta è sottintesa e lascia che siamo noi a farci la domanda e a darci la risposta. Può sembrare un piccolo dettaglio, ma la velocità d’azione e la mancata richiesta chiara e diretta di quello che si vuole veramente, sono due cardini fondamentali della manipolazione.
Di solito noi reagiamo con irritazione a tutto questo, anche se non ci è chiaro il motivo. Nel momento in cui rispondiamo al mendicante con un no seccato e difensivo, la nostra etica sta già sollevando alcuni dubbi: forse siamo stati troppo duri con una persona che si è posta in posizione di sudditanza e che a ben vedere non ci ha fatto nulla.
Tutte le tecniche di vendita (e cioè di manipolazione finalizzata) spiegano quanto il no iniziale sia prezioso; fa credere al cliente di essere in pieno potere e porta l’attenzione sulla contrattazione. Meglio un no irritato che un sì distratto.
A questo punto c’è la svolta: il mendicante ignora il nostro no. Noi al suo posto ci sentiremmo umiliati e irritati e invece lui sembra impermeabile alla nostra reazione e rimane a fissarci in attesa, lasciandoci in balia del nostro conflitto.
Noi capiamo che se vogliamo liberarcene dovremo scegliere tra il subire comunque la sua presenza per un tempo che stabilirà lui, oppure trattarlo con una durezza ancora maggiore ed essere di conseguenza colpevolizzati.
A questo punto la cosa meno onerosa per noi è dargli quello che pensiamo che voglia e liberarci, non tanto di lui quanto del conflitto tutto nostro in cui ci ha intrappolato.
Tutti i comportamenti manipolanti seguono le stesse regole, e l’eventuale influenza economica o sociale di chi li mette in atto alza solo la posta in gioco. È proprio la registrazione di Weinstein a dimostrarlo: lui non “ordina” una prestazione sessuale in quanto persona potente, come tenderemmo a immaginarci. Non la chiede neppure. In modo più articolato ma non dissimile dal mendicante, cerca di creare prima confusione e poi pressione: insistendo, minimizzando, ordinando, supplicando e colpevolizzando, insistendo, insistendo.
Chi conosce bene la manipolazione sa che c’è un meccanismo perverso e potenzialmente autodistruttivo nel sistema di valori della maggior parte delle persone. Tutti riteniamo di avere dei principi assoluti e crediamo di risolvere le cose con il ragionamento. Dimentichiamo che la nostra moralità è, per sua natura, relativa, e che ha al suo interno una scala di valori che è spesso in conflitto con la nostra convenienza. Per esempio: nella maggior parte dei casi diamo una moneta al mendicante perché moralmente ci pesa di meno subire una piccola “estorsione” piuttosto che sentirci tirchi o crudeli. Se il mendicante ci chiedesse 100 euro, il nostro disagio non ci sarebbe: ci metteremmo a ridere e lo manderemmo via senza rimorsi.
Il potere, quindi, nella manipolazione, consiste nella calcolata e fittizia superiorità morale momentanea che il manipolatore è riuscito a instaurare, e che si comporta come un virus per il nostro sistema decisionale. Per sentirci più morali e potenti di lui saremo obbligati ad agire come lui vuole.
Nel caso della registrazione di Weinstein, mentre ascoltavo, mi sono detta:
Ok, magari vuole veramente soltanto che mi sieda. Perché dovrei inimicarmi una persona così importante, ma anche sicuramente interessante, per così poco? Mi sta chiedendo un favore, glielo concedo e mi siedo 5 minuti. Se però mi mette le mani addosso, allora mi arrabbio sul serio, perché me l’ha promesso lui che si trattava solo di stare seduta e che non mi avrebbe toccato.
Questo è il primo step a cui mira una manipolazione strutturata. Una piccola concessione, un favore, che fa sentire l’altro in una posizione di superiorità: è lui che concede. Sente che c’è qualcosa che non va, ma proprio per questo cerca un punto fermo in cui la sua convenienza e la sua morale siano allineate. Non si può agire in modo maleducato nei confronti di una persona che non ci ha fatto niente, avrebbe ragione ad avercela con noi e noi questo non lo vogliamo, per più di un motivo.
“Se me ne vado adesso passerò da presuntuosa, isterica ed esagerata. Mi ha solo chiesto di sedermi 5 minuti per non fargli fare brutta figura. Lo farei per chiunque”.
Una volta seduta, il manipolatore inizierà un processo analogo al primo: mi verrà troppo vicino ma minimizzerà il fatto, insisterà, implorerà, insisterà di nuovo smontando le mie obiezioni e cercando d’impedirmi di pensare. SOPRATTUTTO, userà ogni contraddizione del mio comportamento per ricattarmi, e non mancherà di farmi notare in modo subdolo che nessuno mi aveva obbligato a sedermi e a rimanere lì. Questo dimostra che la situazione in realtà mi sta bene, e lui ne è molto contento perché mai e poi mai, visto quanto gli piaccio e quanto ci tiene a me e quanti progetti ha che mi riguardano, vorrebbe che facessi qualcosa che non mi sta bene.
A questo punto, il mio brillante escamotage precedente, che mi aveva fatto considerare il sedermi come soluzione meno onerosa, mi ha incastrato in una situazione ancora più imbarazzante. Adesso sono una che ha fatto finta di starci e se me ne vado mi meriterò delle conseguenze, più di prima.
Non so se ad Asia Argento, e alle altre donne che hanno denunciato quest’uomo, sia successo veramente quello che ho descritto; ma ascoltando la registrazione e capendo subito che il signore era abituato a usare quel sistema, ho pensato: queste persone non manipolano gli altri perché sono potenti. Sono diventate potenti perché sono abili nella manipolazione e la usano con naturalezza, non solo con le donne, ma in qualunque contesto.
Molti uomini, probabilmente, sono stati fregati da Weinstein con un sistema analogo, anche se hanno evitato l’umiliante passaggio sessuale.
Pertanto certi abusi e molestie sessuali, a cui sono soggette in particolare le donne, sono il risultato della stessa forma di manipolazione che può essere usata con altre finalità, come indurre un anziano a investire i suoi risparmi in un fondo tossico o un lavoratore a firmare un contratto vessatorio. È un problema di tutti e non ha a che fare solo con il sesso.
Il concetto di manipolazione è, di per se, neutro. La manipolazione si usa anche per negoziare il rilascio di ostaggi da parte di terroristi, con tecniche molto simili a quelle usate in contesti truffaldini di qualunque natura. Non è neppure una cosa negativa che un politico o una persona di forte potere abbiano grandi capacità persuasive e contrattuali, sappiano convincere e ottenere. Il problema nasce quando queste persone non sono controllate e la loro tendenza manipolatoria diventa il loro principale sistema di approccio con chiunque.
La manipolazione, quando riesce, ripaga con un piacere incommensurabile. Per chi è già bravo e viene spinto, anche per ragioni lavorative, a farne uso continuo, può diventare una sorta di droga. È comprensibile, ma siccome è risaputo, chi presenta queste caratteristiche non dovrebbe poter accentrare troppo potere senza controllo.
La manipolazione procura intensa soddisfazione, ma richiede grandi energie e una concentrazione totale. Quando fallisce, e la storia di Weinstein ci dice che capita spesso nonostante le apparenze, il manipolatore passa dei brutti momenti: si sente svuotato, esaurito, paradossalmente imbrogliato. Nella sua morale di superpotenza distorta, lui stava concedendo un favore nel non dispiegare tutte le sue capacità, ma limitandosi a cercare di ottenere dall’altro qualcosa che riteneva legittimo, umiliandosi.
Non riuscendo a tollerare la sconfitta, il manipolatore tenta sempre e comunque una manipolazione finale, volta a infelicitare la vita dell’altro nel modo più vasto possibile. Non hai voluto darmi quella piccola cosa che ti chiedevo? Allora non sarai mai più libero e manterrò il controllo su di te per sempre.
In questo caso tutto dipende dal potere effettivo che il manipolatore ha. Il mendicante ci borbotterà qualche maledizione sperando che attecchisca; il collega o il capo potrebbero renderci la vita lavorativa difficile. Un manipolatore violento potrebbe cercare di diffamarci, spaventarci o farci male fisicamente.
In generale però, la minaccia e la vendetta sono l’ultima arma del manipolatore, non la prima. Sono strumenti aggiuntivi, d’emergenza. Anche Weinstein minaccia la modella che non vuole sottostare ai suoi voleri, ma lo fa solo nella seconda parte della registrazione, prima velatamente e poi più direttamente, quando ha però già capito di avere perso la partita. La minaccia diretta non può essere usata nel corso di una manipolazione perché aiuta l’altro a prendere una decisione, mentre è proprio sulla confusione decisionale che la manipolazione si fonda.
Morale della favola:
– Il trucchetto del mendicante dimostra che non è sempre facile svincolarsi dalle spire di qualcuno che usa la manipolazione. Il ragionamento razionale (scelgo il sì o scelgo il no) può essere facilmente mandato in tilt, creando una situazione nella quale ci si sente a disagio e sbagliati in entrambi i casi.
– Le attenzioni, i complimenti e i favori sono importanti. Desiderarli e accettarli è legittimo, così come lo è rifiutarli nel momento in cui ci mettono a disagio. In questo non c’è contraddizione né colpa per la quale dovremmo pagare un conto. Eppure i manipolatori – ma anche i “giudicatori” – tentano sempre di farci credere il contrario. Spesso riuscendoci.
– Il signor Weinstein è un uomo ricco e potente. Ha sicuramente frotte di bellissime donne disponibili e più che consenzienti. Eppure gli piace forzare la mano. Questo dovrebbe preoccuparci più della moralità delle sue prede.
– La manipolazione ha delle applicazioni positive: serve anche per convincere il proprio figlio a non rompere tutti i giocattoli del suo amichetto.
– Alcune tecniche manipolatorie si possono apprendere al fine di vendere più elettrodomestici, ma i grandi manipolatori possiedono un talento che non si può imparare. Sono utili alla società, ma vanno controllati nelle loro manifestazioni patologiche perché non capiscono quando è meglio smettere. Prima o poi diventano un problema per chiunque, anche per se stessi, e se possono comandare eserciti, rischiano di diventare devastanti.
Altra psicologia: