Facebook non è un paese per annunci a pagamento
E non è tutta colpa delle Click Farm.
Ho provato a mettere degli annunci a pagamento su Facebook per promuovere un libro dal titolo Sull’isola di Naxos c’è un tesoro. L’idea si basava sul fatto che fosse Agosto e che molti potenziali lettori potessero essere nei pressi dell’isola greca, in cerca di qualcosa da leggere sull’argomento.
Ho quindi scritto un semplice post sulla mia pagina FB Loredana de Michelis – che ho creato proprio per avere la possibilità di sponsorizzare qualche libro all’occasione – e ho attivato la promozione.
Quando si avvia una promozione su FB è necessario selezionare un pubblico e riempire innumerevoli caselline di richieste ossessive, che si aprono in una finestra minuscola e complicata da far scorrere, anche da computer, non oso pensare da smartphone.
La selezione, o targhetizzazione del pubblico, in questo caso è stata facile: italiani 30/65 con i seguenti interessi: Lettura, Naxos (isola), Grecia.
Un indicatore con la lancetta sul verde mi ha comunicato che il mio pubblico era OTTIMO! Pertanto ho investito i miei 5 euro, sperando nel numero di visualizzazioni promesse, che si attestava tra le 2.200 e le 10.000. Speravo ovviamente anche in qualche click sul link per l’acquisto del libro, azione che, in base alle mie ingenue conoscenze di marketing, supponevo collegata in percentuale al numero di like e di visualizzazioni.
Facendola molto breve il risultato è stato: meno delle 2.200 visualizzazioni minime promesse, a fronte di molti like (molti in percentuale, eh?), più di 130, ma di soli 5 click sul link che portava al libro in vendita su Amazon.
La cosa più interessante, già accaduta TUTTE le altre volte che ho fatto annunci a pagamento su Facebook, con qualunque tipo di target, è stata la provenienza dei like, che per oltre il 50% sono arrivati da stranieri, perlopiù ragazzi africani, seguiti da casalinghe rumene, persone con nomi in cirillico o in arabo. Visitando i loro profili mi sono accorta che nessuno sembrava il tipo di persona che avrebbe potuto inserire “lettura” o “Naxos” tra i suoi interessi su Facebook.
Per quel che riguarda gli africani, che erano la maggioranza, si trattava esclusivamente di maschi, giovani, dall’italiano stentato o assente, e quasi tutti residenti in centri d’accoglienza dislocati in varie parti d’Italia. Nel caso dell’utenza dell’Est si trattava di profili piuttosto anonimi, disseminati di stickers, foto di fiori e stelline. I like inoltre erano arrivati in fretta, già dopo pochi minuti dall’approvazione dell’annuncio da parte di FB.
Dopo molti tentennamenti, perché la vita è altrove e chissenefrega, mi sono decisa a investire del tempo per confrontare i nomi dei likers di questo post con quelli di altri post precedentemente sponsorizzati, in particolare di un’altra pagina che gestisco, che si chiama Visotonic Lifting Viso ed è relativa alla ginnastica facciale, con un pubblico prevalentemente femminile. Anche in questo caso i pochi annunci a pagamento hanno avuto un pubblico di piacciatori a maggioranza straniera, giovani maschi africani o arabi che dubito si interessino all’estetica e che non rientravano in alcun modo nel target da me scelto. Non solo: alcune di queste persone avevano messo il like sia agli annunci della pagina di ginnastica facciale, sia all’annuncio relativo al libro, pur non essendo tra i miei contatti o collegati a nessuna delle mie pagine.
Che si tratti di persone che mettono like su ordinazione è evidente, Il problema è capire per ordine di chi: ho pagato l’annuncio a Facebook in persona, non a un’agenzia del sottobosco piacione.
Cerco sul forum di Facebook. Non sono l’unica: qualcuno che pubblicizza prodotti completamente diversi dai miei, diretti a italiani con interessi specifici, si lamenta della stessa cosa: like da africani, arabi, russi e rumeni.
Ci mettiamo in contatto e iniziamo una specie di conta delle figurine:
– Tu Alì Babuni ce l’hai? –
– Sì, gli ho scritto chiedendogli perché mi abbia messo un like a tutti e tre gli annunci, che promuovono la manutenzione della caldaia. –
– E che ti ha detto? –
– Non risponde. –
Intanto sulla bacheca di Alì Babuni compare un comunicato di scuse in inglese maccheronico: non sa cosa abbia fatto di male che tutti gli stanno scrivendo, ma lui crede nel Signore e se ha fatto del male a qualcuno mettendo un like chiede perdono a tutti, che siamo tutti fratelli. Tanti baci e buone cose.
Provo a scrivergli anch’io in inglese, dicendogli che nessuno lo accusa di niente, vorremmo solo capire come sia venuto a sapere che c’erano degli annunci che pubblicizzavano caldaie, libri ed estetica. Lui mi manda una preghiera.
Chiedo assistenza a Facebook, ma Marina, di fronte alle mie domande e alle mie insinuazioni sull’audience ben distante da quella per cui ho pagato, tergiversa. Ostenta un’arroganza granitica che sa di istruzioni ricevute e si limita a suggerirmi di “escludere gli espatriati”* dal mio target.
Questo suggerimento è fornito con regolarità a chiunque chieda come impostare un annuncio pubblicitario, anche di un solo euro.
In sostanza, più che selezionare un pubblico di preferenza, secondo Facebook sarebbe meglio escludere i poveracci.
RIMANE LA DOMANDA: come fa una persona del Sud Africa, una dell’Ucraina, una del centro profughi di Vicenza e una del Chekazzistan a venire a conoscenza del mio annuncio sponsorizzato, se non rientra nel mio target?
Procedo secondo le istruzioni di Marina: aprendo le varie tendine delle finestre graficamente ingestibili dell’annuncio, dopo ore di lavoro, riesco a escludere praticamente tutti gli espatriati del terzo mondo, quelli che hanno amici espatriati, quelli che non hanno almeno un diploma, quelli che hanno telefonini che non visualizzano le immagini, utilizzatori compulsivi di videogiochi e quelli che non parlano l’italiano, finestra quest’ultima che va e viene e non è sempre disponibile. Non contenta, in preda a una furia discriminatoria ormai crescente – che mi avrebbe anche fatto escludere i ciechi, i dislessici, e quelli con l’artrosi alle mani impossibilitati a reggere un libro – ho escluso anche la categoria listata da Facebook in “Altro”, e che era: Nail Care.
Riattivo l’annuncio per altri 5 euro e naturalmente, nonostante la rassicurazione di FB sul fatto che il pubblico da me selezionato corrisponda a una marea di utenti e sia OTTIMO!, questa volta ottengo meno della metà delle visualizzazioni stimate, quasi zero like, ma lo stesso numero di click sul link. Pochi ma buoni.
Contatto le persone che come me si erano lamentate nel forum, avvisandole anche dell’opportunità di “escludere” mezza umanità dagli annunci per migliorarne il target. Uno di loro mi risponde che non è necessario: dopo le sue proteste alla direzione di Facebook, ora i suoi like e i suoi click all’annuncio arrivano magicamente soltanto da italiani. Siccome ho protestato anch’io, adesso non so più a cosa sia dovuta la variazione di utenza al mio post sponsorizzato.
Mi rimane da capire che cosa stia succedendo: il fenomeno è già noto agli utenti americani e ci sono parecchi articoli a riguardo, ma sembra che nessuno sia veramente intenzionato a scoprire cosa sta succedendo. Tutti annunciano saputelli che si tratta di Click Farm indonesiane che interferiscono, anche a discapito della povera FB, che non c’entra mica nulla, per carità.
Questo paraculismo ostentato m’infastidisce subito. Mi viene da pensare che la mentalità di Facebook, qualunque essa sia, faccia scuola, e oramai abbia distorto la nostra moralità. Facebook non può non sapere di questo fenomeno, e soprattutto: se pago per essere vista da italiani interessati alla lettura e donne interessate al fitness, voglio quello per cui ho pagato.
Invece Facebook non rimborsa niente e nessuno. Che si sappia.
Da questi articoli in rete, pieni di controlli incrociati, numeri, stime sulle visualizzazioni e altre menate, scopro che in generale ciò che si posta sul proprio profilo o pagina viene visualizzato da una percentuale molto bassa di persone. Questo limite, che si va progressivamente restringendo, è imposto da FB per incentivare l’acquisto di visualizzazioni delle pagine, e per lasciare spazio agli annunci nella Home degli utenti, che mediamente scorrono soltanto le prime dieci notizie.
A maggior ragione pertanto, visto che non può trattarsi di una casualità, mi pongo la domanda alla quale non ho ancora trovato risposta sul web: come fa una Click Farm con sede in Indonesia ad accorgersi del mio annuncio che dura solo 24 ore e che vale 5 euro? Dubito che le Click Farm stiano tenendo d’occhio la mia pagina fan di 1000 persone.
Segue un’ulteriore domanda: come fa una Click Farm a controllare quanto lavorino i suoi likers e a pagarli, se sono sparsi per tutto il mondo e non lavorano incatenati nel suo sottoscala? Verrebbe da pensare che li paghi un tanto ogni mille click, ma come conta i click di migliaia di persone?
Decido di chiederlo a quelli che mi hanno messo un like a casaccio, mandando un messaggio in versione italiana e inglese a ciascuno di loro:
“Buongiorno, mi è stato fatto il suo nome come persona disponibile a lavorare inserendo likes su Facebook. Poiché si tratterebbe di lavorare direttamente per le mie pagine, potrei pagarla un po’ di più. Qual è la paga che lei riceve abitualmente? E in che modo la pagano? Saluti.“
Rispondono soltanto due sudafricani, uno che sembra essere ancora in patria e l’altro che pare vivere in Germania. Quello che sta in Germania mi dice di chiamarlo su un cellulare italiano, mentre l’altro mi risponde (in inglese) così:
– R3000
(IO) Ciao. Cos’è R3000?
– Scusa ho sbagliato messaggio.
(IO) ah ok, pensavo mi stessi chiedendo 3000 euro
– ohhhk dove vivi?
(IO) Svizzera. Sei interessato al lavoro?
– SI SONO INTERESSATO
(IO) Puoi rispondere alle mie domande?
– SI. QUALI DOMANDE?
Evidentemente non ho a che fare con un esperto del settore. Ha sparato una cifra a caso in Rand sudafricani che equivale a circa 188 euro, ma sembra non ricordarsi cosa gli ho chiesto. La conversazione è difficile: occorrerà sempre ripetere le cose due volte.
(IO) Leggi il primo messaggio che ti ho mandato.
– Ok mi puoi pagare 1500 Rand al mese (94 euro circa) ho un account mi puoi pagare su quello.
(IO) Come faccio a sapere che tu lavorerai mettendo dei like? E quanti like al mese puoi mettere per quella cifra?
– Dipende da te, forse 1500 like.
(IO) 1500 like tutti dal tuo profilo o anche da altri profili?
– Anche da altri profili.
(IO) 1500 Rand sono quasi 100 euro. Per questa cifra posso comprare 1500 like direttamente da Facebook.
– Ok va bene diciamo 8000 like per 2 settimane. Pensavo che 1500 rand fossero 50 euro. 4000 likes per settimana.
(IO) Scusa ma non capisco: ho bisogno di 10.000 likes da 10.000 persone diverse. Mettiamola così: fammi una BUONA offerta, migliore di quella di FB. Quanta gente puoi trovare? E quanto pago per like?
– Posso trovare circa 900 persone oggi e forse altre 200 al giorno. Puoi pagare mezzo rand per like. (0,03 euro che corrisponde a 300 euro per 10.000 like)
(IO) E io pago solo te, giusto?
– Ok tu mi paghi e io pago loro.
La conversazione prosegue sulle modalità di pagamento e scopro che il sudafricano non conosce Paypal, non ha un conto bancario. L’unico metodo di pagamento dall’estero che conosce è E-Wallet: riceve un numero di voucher e un pin e lui preleva il denaro. Ma è evidente che non l’ha mai usato per pagare qualcuno perché non sa dirmi come funziona il portale. Capisco che non ha mai pagato o pagherà nessuno per i like, che però sono sicura riesca a ottenere, almeno da qualche centinaio di suoi contatti. Perché lo fanno? È un favore a buon rendere?
Mi faccio dare il suo numero di telefono, che è sudafricano, e lo ricarico di 3,50 euro. Il pagamento lo rende collaborativo.
(IO) Va bene. Non voglio likes per il momento. Voglio informazioni. Non m’importa dei nomi, voglio soltanto capire come funziona il mercato dei like. Se mi dai queste informazioni, ti pago.
– Ho un team di gente che lavora per me. Stanno in un gruppo e quando gli dico di mettere like lo fanno.
Ok. Ci sono dei gruppi, chiusi o segreti su Facebook o su Whatsapp o Dovediavolo. Gli utenti sanno che quando un annuncio è postato nel gruppo loro devono mettere like. Ma chi ha postato i miei annunci e quelli degli altri nel gruppo? E perché?
(IO) Come hai fatto a sapere del mio annuncio pubblicitario? Era in questo gruppo? Chi ce lo ha messo?
A questo punto le risposte diventano assolutamente improbabili. Dice di avere un fratello che lavora per Facebook, dice di avere un’azienda con molti clienti e che gestisce milioni di likers. In sostanza, non sa rispondere alla domanda. Forse ogni tanto riceve una piccola ricarica telefonica. Forse neppure quella. Di sicuro non è un impiegato diretto delle Click Farm.
Per sicurezza intervisto di persona anche il nigeriano che gira sempre al mercato rionale. È scappato da un centro di accoglienza e vivacchia chiedendo soldi ai passanti.
Capisce subito di cosa parlo e mi risponde che lui non lo fa più, ma molti suoi amici lo fanno: tu metti like a cosa ti dicono di piacciare e poi gli altri li mettono alle cose che condividi tu. Mi dice che nessuno viene pagato, è tanto per divertirsi, passare il tempo e fare conoscenze nuove. Ti invitano nei gruppi, ti mandano preghiere e quando metti una tua foto tanta gente mette like. Il ragionamento finisce lì e ogni tentativo da parte mia di insinuare implicazioni economiche confonde il mio interlocutore.
Può sembrare ingenuo, ma la verità è che molti africani lo sono, ingenui. O comunque non possiedono la mentalità capitalistica che per noi è così naturale. Sono persone che si ritrovano isolate socialmente, non abituate a leggere. Passano il tempo a postare foto sui social dal loro cellulare e a guardare quelle degli altri. Mettere un like a qualcosa che manco si è capito cosa sia è divertente e si potrebbe essere notati e ricevere una richiesta di amicizia da qualcuno dei paesi ricchi, magari anche degli aiuti economici.
Le Click Farm probabilmente danno uno stipendio a quelli che lavorano dai loro uffici e qualche bonus random a “faccendieri” che si occupino di aprire questi gruppi e gestirli.
Dopo ulteriori domande al mio contatto sudafricano scopro che vive nell’entroterra di Durban e frequenta saltuariamente una scuola religiosa. I direttori della scuola hanno probabilmente fatto un accordo con una Click Farm: loro ricevono dei soldi e i ragazzi sono inseriti nel gruppo FB della scuola e incentivati a mettere like a raffica e a condividere sulle loro pagine ogni annuncio che compare in questo gruppo. In cambio possono stare tutto il giorno connessi a giocare con il loro smartphone di terza mano. La pagina FB di questa scuola mostra soltanto foto di direttori tronfi e cerimonie sciocche. L’inglese scritto dei suoi allievi è pietoso e questo garantisce la loro esclusione da futuri impieghi pagati decentemente.
Aprire una Click Farm è quindi molto redditizio perché la maggior parte dei lavoratori è pagata soltanto in “visibilità” e “partecipazione”. E qualcuno ha trovato come ricavare denaro dal tedio dei ragazzi africani rinchiusi nei centri d’accoglienza. Sono invitati a iscriversi a gruppi dove si conoscono, s’incoraggiano a vicenda, forse si aiutano. Sono fabbriche di like, ma anche probabilmente serbatoio milleusi, un esercito attivabile con un post o un forward su Messenger.
Ho scoperto cose interessanti, ma RIMANE LA DOMANDA: come ha fatto, la Click Farm o il faccendiere di turno a intercettare il mio annuncio fin dai primi minuti di attivazione? E perché lo avrebbero fatto, visto che non li ho pagati e non sono neppure un cliente papabile come potrebbe essere la Nike, per esempio?
Io ho elaborato un’ipotesi, in attesa di proseguire la mia indagine (sto cercando di essere ammessa in uno di questi gruppi di piacciatori).
Prima di spiegarla occorre chiarire alcuni aspetti:
1) Facebook non vive esattamente di visualizzazioni, ma di interazioni. Qualunque cosa postiamo viene mostrata quasi esclusivamente a chi ha recentemente interagito con i nostri post precedenti.
2) Facebook conosce sicuramente le abitudini interattive degli utenti: sa quali sono quelli che non interagiscono mai e quelli che interagiscono molto.
2) Facebook sa che qualunque cosa inserisca nella home di un utente, dovrà apparire tra le prime notizie: la gente si scoccia di far scorrere la home. Anche gli annunci a lato appaiono in cima e rimangono gli stessi con lo scorrere della pagina. Ci sono pochi spazi. Se un utente è buono per molti annunci, gli saranno mostrati probabilmente quelli più redditizi. Il mio post sponsorizzato valeva 5 euro ed era relativo a un prodotto di bassissimo interesse: un libro.
3) A pagamento o meno, il numero di visualizzazioni di un post è legato al numero di interazioni iniziali che riesce a raccogliere. Il sistema è tarato in questo modo.
Credo che le Click Farm, nel mio caso e nel caso degli altri italiani che ho incontrato sui forum col mio stesso problema, non c’entrino nulla. La teoria secondo la quale intercetterebbero annunci (in che modo esattamente?) per poi piacciarli gratis al fine di confondere le acque, mi sembra farraginoso-complottista.
Penso invece che Facebook, più semplicemente, mostri i post sponsorizzati a chi aveva interagito precedentemente con post analoghi (ecco perché stessi utenti piacciatori ai miei diversi annunci), ma soprattutto dia la precedenza assoluta ai piacciatori compulsivi, purché si colleghino da un I.P. della nazionalità richiesta.
In sostanza Facebook sa che Alì Babuni mette like a qualunque cosa, quindi gli inserisce a caso molti annunci sponsorizzati nella home, mentre non li fa apparire nella home di un utente che non mette mai un like a meno che non siano specificatamente legati ai suoi interessi. Alì Babuni mette il like per abitudine e tanto per non sbagliare, perché non ha ancora capito per quali like riceverà un compenso, e i suoi amici gli vanno dietro per lo stesso motivo. Ecco perché ottengo dei like anche da persone che non risiedono in Italia: sono trascinate dalle prime.
Con il piacciatore compulsivo, FB ottiene di dover mostrare l’annuncio nelle home degli utenti un numero inferiore di volte, per farmi avere il numero di visualizzazioni e di like che mi aspetto. In sostanza risparmia gli spazi nelle home degli utenti, che rimangono a disposizione per altri annunci. Poco gli importa se questi piacciatori compulsivi non facevano parte del mio target e hanno virato l’audience verso un pubblico per me totalmente inutile, togliendomi di fatto la possibilità che l’annuncio fosse visto da persone potenzialmente più interessate. Avevo ingenuamente chiesto che l’annuncio fosse visto da italiani e i primi a vederlo sono stati piacciatori compulsivi collegati da I.P. italiani. Che siano piacciatori compulsivi perché lavorano per le Click Farm a Facebook non interessa o forse, addirittura, conviene. Perché le regole dei veri web marketers sono molto simili a quelli di certe arte marziali: usa la forza del tuo nemico a tuo favore.
I like li ho avuti. E che tanto mi basti.
*Aggiornamento: l’opzione “escludere gli espatriati”, a ottobre 2018 risulta essere stata eliminata da Facebook, perché considerata discriminatoria. In realtà non c’è nessuna discriminazione se, nella misura in cui pubblicizzo un testo di narrativa scritto in italiano, voglio escludere dal mio target tutti i residenti in italia che non parlano italiano. Sarebbe piuttosto l’opzione “scegli pubblico” a dover funzionare, e che invece non è attendibile.
Il moralismo ipocrita e mal diretto dell’americano comune non ha mai risolto i problemi discriminatori del suo Paese e non dovrebbe dettare legge a livello mondiale.
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Complimenti per l articolo, forse rinuncerò anche io. Ho più visibilità e mi è servita la sponsorizzazione, ma moltissimi likes sono di gente che non credo sia assolutamente interessata al prodotto. Ho buttato una buona parte dei soldi spesi credo.
Sei grande! Hai fatto un’inchiesta scientifica ed utilissima. Sto cercando anche io di promuovere la mia azienda oikosclima.com mi sono bastati 2 giorni di like solo da casalinghe rumene e ho stoppato tutte le promozioni. Le casalinghe sempre rigorosamente fotografate insieme a tutta la famiglia. In cui ci sono piu’ figure dei mariti che loro. Per cui ho evinto che e’ un business pilotato da FB per cui queste mettono “like” ma ti inviano comprensibilmente il messaggio trasversale “non cerco avventure”. Poi arabi, africani, e che ne so perche’ sono lingue che non conosco, fiori, tramonti etc…… io faccio impiantistica ed una mia amica mi ha gia’ telefonato per dei condizionatori. Facevo prima a farle un colpo di telefono…..
Salve Loredana, complimenti per l’articolo e per l’inchiesta svolta!
Grazie!
Ciao,ho trovato il tuo articolo cercando notizie proprio sul perchè il 90% dei like sulla pagina dell’attività che sto cercando di avviare,proveniva da sudafricani e arabi.Ho trovato varie domande sul forum di Fb,puntualmente chiuse e senza risposta,mi hai dato lo spunto per impostare tutti i filtri necessari del pubblico e mi sono ritrovata esattamente nella situazione da te descritta.Bè che dire…è una situazione veramente vergognosa!Mi sà che rinuncerò alla pubblicità su Facebook anche solo per principio,gli imbrogli e le prese in giro non mi piacciono proprio!Grazie comunque per il tuo articolo,mi è stato di molto aiuto!
Sì, ho notato anch’io che c’è una certa tendenza a tenere “coperta” la faccenda, benché siano in tanti a lamentarsi. L’unica è diffondere, sperando in un cambiamento di rotta. Alla pubblicità su FB, intanto, ho rinunciato pure io.