Panama
Non si notano subito i cavi elettrici che sono sospesi ovunque e su qualunque cosa. Aspettano feroci la prima pioggia per liberarsi delle scarpe da tennis appese che la gente si diverte a lanciare, con le stringhe legate, per decorarli. Un botto, una fiammata, e le scarpe fondono e gli incendi dilagano.
I panamensi lo trovano seccante che ci sia tutto questo aggrovigliamento penzolante in giro, che spesso raggiunge il suolo, si muove verso i tombini come per nascondersi.
Adesso stanno facendo i lavori per interrare: Panama è la città con più lavori di ristrutturazione del mondo.
Il Casco Vejo era un posto cadente e pericoloso fino a dieci anni fa. Ora bisogna correre se si vuole vedere ancora qualche muro ammuffito e gli alberi che crescono sui cornicioni di case che non hanno quasi più il tetto e sono tenute insieme dalle antenne.
Tra bar trendy e prezzi da Costa Azzurra, aria condizionata e stucchi frettolosi in ricordo di una terra d’origine lontana, che viene dimenticata al ritmo di un particolare per volta, qualche vecchio residente ancora resiste, ma i cattivi dei film si sono spostati al Chorrillo, un paio di strade più in là.
Sembra niente sulla cartina da turista, ma è bene non passare quel confine invisibile tra quartieri, tanto comune nelle Americhe e molto più sfumato in Europa.
Il centro della città nuova è un’accozzaglia di palazzoni chiamata romanticamente skyline. È affascinante sotto le nuvole del cielo che cambia, ma i grattacieli, visti da vicino, sono spesso vuoti, abbandonati a metà costruzione.
C’è una bella passeggiata asettica sulla quale tutti corrono, cuffiette e tutina, che porta dal Casco Vejo alla città nuova. Passa per il mercato del pesce, dove grossi pellicani banchettano e muoiono avvelenati tra i sacchi della spazzatura.
Dove va la gente a divertirsi? La Marina è piccola e ha solo un paio di locali all’aperto, che servono birra e patatine.
Si danno tutti appuntamento nei centri commerciali, con la scusa dell’aria condizionata. Tra Pizza Hut, Tezenis e altri negozi identici in tutto il mondo.
A Panama i taxisti dicono che lì c’è lavoro e non c’è bisogno di emigrare. Il Canale mantiene tutti. Dicono che i palazzi fantasma sono roba di riciclaggio, banche, stranieri, trafficanti. Si riempiranno, forse, un giorno.
Il canale è stretto, costruito oltre 100 anni fa, quando le navi grandi di adesso erano ancora persino da immaginare. Il lavoro delle chiuse per alzare il livello dell’acqua fino a 26 metri sopra quello del mare e poi riabbassarlo è colossale, spaventoso, estenuantemente ingegnoso. Panama vuole diventare l’America, ma paradossalmente si mantiene grazie a un’opera ingegneristica antica, un vecchio sono colossale di possesso del mondo.
Gironzolare a piedi sembra sicuro, ma durante la passeggiata è facile essere intercettati da vigilantes in bici sportiva che t’invitano cortesemente a non andare oltre e a tornare verso la zona degli alberghi.
Panama era una terra di pirati, viaggiatori e faccendieri, ma oggi ha un’autostrada che corre in mezzo al mare. Ha perduto il senso del ritrovo sociale, acquisito un distorto consumismo, e le sue nuove bandiere sono i teschi tatuati sulle moto della polizia.
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