Welcome to Australia
La prima impressione, arrivando in Australia, è che per qualche motivo storico, genetico, culturale – o tanto per dire una parola che a loro piace moltissimo, organico – gli australiani si siano persi le vocali.
Una semplice frase, come Welcome to Australia, madam, diventa un veloce: Wlcm t(rutto) str(colpo di tosse)ae, mdm.
Inutile chiedere che ripetano: è uguale.
La prima parte di ogni frase è peraltro disfonica, come se a parlare fosse una persona affetta da grave laringite, quindi capire il tutto senza avere veramente sentito l’inizio si fa ancora più complicato.
Gli australiani sono consapevoli di questo difettuccio e quando vogliono fare i mondani riducono la spigolosità delle consonanti aggiungendo un “ae” qua e là. Insomma si mettono a parlare come degli ubriachi e recuperano le vocali tutte insieme, riunendole per praticità in una sola breve parola: O.K. Che diventa un lunghissimo AEOIKEYA.
Dopo una settimana passata a cercare di capire cose semplici e a cercare di farmi capire senza successo, la mia conoscenza dell’inglese si è disgregata in un balbettio lallatico oramai irrecuperabile. Sento come un tradimento il dovermi ora abituare a questo uso delle parole assolutamente shakerato, per cui “I think” diventa “I reckon” e “Twin Towns” diventa “Tin Tins”. D’altronde questa è gente che rifila a un fiume un nome come Durungbl, e pronunciare il nome di molte città è cosa lasciata all’inventiva di ciascuno.
Così, rinunciando alla fonetica, ho optato per l’imitazione delle attitudini muscolari coinvolte nel linguaggio e ho conseguentemente notato che tutti parlano sorridendo a denti stretti. Le variazioni di pronuncia sembrano più che altro diaframmatiche.
L’eroe nazionale? Purtroppo è Capitan Cook, pensa tu se non poteva chiamarsi Smithson. Per pronunciare correttamente Cook in australiano, bisogna allargare la bocca orizzontalmente senza staccare i denti, sporgere in fuori la mandibola inferiore e pronunciare la “oo” di Cook sputandola direttamente dall’ombelico.
Il metodo finora messo a punto in caso di vera necessità, è quello di guardarsi intorno in cerca di un britannico. Di solito si riconoscono grazie al fatto che hanno le scarpe e non indossano il costume da Obelix. Ecco, è meglio chiedere a loro, che ti capiscono e che parlano in modo comprensibile, anche se ti dicono con una vaga espressione di superiorità che l’accento australiano è in fin dei conti molto… semplice.
Semplice o meno, è meglio evitare di chiedere informazioni a omini anziani che girano solo con i boxer, a commesse, impiegate e giovani surfisti. Non che questi ultimi abbiano un linguaggio complicato, ma tendono a soffrire di otiti e laringiti contemporaneamente, e a fissarti con sguardo vacuo mentre ti affanni a balbettare qualcosa.
È bene inoltre specificare che in Australia i motociclisti baffuti con elmetto mimetico e tavola da surf ingegnosamente fissata sulla fiancata, possono gentilmente offrirti un passaggio, ma risulta impossibile capire per dove.
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