19 Marzo. Mio padre.
– Ho i peli sensibili, patalucco di un moscerino!- Dice mio padre dando una gran pacca al zanzarino dei mirtilli che si era posato sulla sua gamba.
Io rido, lui è molto serio: sai quanto sono sensibili i peli?
D’altronde ne ha un sacco, forse sono un organo di senso, come le vibrisse.
Sta separando le foglie dai mirtilli con un metodo che ha inventato lui: mette tutto sopra un
vassoio che ha inclinato appena appena, appoggiandolo su una torre di presine; i mirtilli rotolano in quanto tondi e le foglie restano dove sono. Ha pulito così anche un grosso barattolo di grive, che assieme ai mirtilli è andato a raccogliere in uno di quei posti dove si avventurano soltanto lui e lo Yeti.
La settimana scorsa invece era andato al lago montano di non so dove, a sfatare la fifa, perché un mese fa era lì a pescare, ma c’erano dei pirla che gli spaventavano le trote, allora lui si è messo più in basso, è salito su una pietra, la trota ha abboccato, lui ha tirato, si è un po’ sbilanciato, la pietra si è inclinata e gli ha intrappolato una caviglia. Lui è caduto di lato battendo la coscia su un’altra pietra, appuntita, e si è anche tagliato una mano: sangue dappertutto.
Siccome c’erano cinque gradi e lui non aveva sensibilità alle mani, e la gamba gli faceva un male cane, ha pensato di chiamare aiuto almeno per liberarsi. Ma poi no: che figura ci faceva? Ci ha messo un po’ ed è arrancato a riva. Pensava di essersi rotto il femore, ma siccome invece stava in piedi, ha solo impiegato un quarto d’ora ad aprire la zip dello zaino con le dita gelate per mettersi un cerotto e poi si è incamminato lungo la via del ritorno. La gamba però gli faceva malissimo, ci ha messo cinque ore invece delle solite due. Ha zoppicato per settimane e gli hanno anche fatto un’ecografia al muscolo, visto l’ematoma: niente.
È di gomma. L’anno scorso è caduto di faccia dalla bici, gli hanno dato dei punti, il dentista ha dovuto raddrizzargli un ponte e non si è rotto niente.
Poi mia madre, con i mirtilli, deve farci la marmellata. Senza zucchero, con il dolcificante Pick.
Fuori in veranda c’è la gatta Briciola che è un siamese incrociato con un pesce martello. Ha un morso profondo, che le fa il muso piatto e squadrato, con i canini che spuntano draculeschi. È dei vicini, ma ha sempre fame e miagola in continuazione, come se parlasse. Mangia dalla ciotola “ospiti” che i miei genitori le hanno messo fuori e non osa entrare perché sa che la manderebbero via: è una gatta tanto socievole con gli umani ma se la prende con la povera Minù, che ha 16 anni, è siamese anche lei, vecchia, scheletrica e con l’espressione assolutamente incarognita.
Minù è il micio di casa: grossa come una talpa, ha la testa perfettamente rotonda e un naso così piccolo che sembra di plastica. Beve acqua esclusivamente dal rubinetto del bidet. Poi c’è Pongo, un gatto rosso con la coda a pennacchio, che fa vibrare come un’antenna. È sempre dei vicini, ma anche lui preferisce il ristorante ‘de Michelis: cibo più vario e a volte persino trote fresche.
Pongo, a momenti finiva come sua madre: ammazzato dai cani di un altro vicino. L’hanno recuperato in extremis che giaceva in una pozzanghera e si è fatto una settimana d’ospedale.
I piccoli di gazza che erano nati nella cassetta per le lettere del signor Bruno invece sono annegati davvero, sempre per via della pioggia forte di quest’anno. Così mio padre è partito con gli attrezzi e un’idea delle sue, pratica e bizzarra, per modificare la cassetta e impedire un’altra tragedia a primavera.
Perché qui, ai piedi del piccolo monte San Giorgio, che in cima ha un monumento che sembra uno stappabottiglie, la vita è ancora un po’ antica e la morte frequente come la vita, ma a volte dura persino di più. Mio padre la sfida da sempre, correndo in bici e sugli sci a rotelle lungo le statali, tra il fosso e i camion, saltando su pietre limacciose con gli scarponi del 56′, correndo come un pazzo su automobili scassate.
Ogni volta che mi accompagna in stazione e fa il pelo a tutti, frena di botto all’ultimo momento perché secondo lui quello davanti doveva andare, tira le marce fino a farmi venire i capelli dritti perché il Diesel ha le marce lunghe, fa battere il motore in testa perché “questo” nuovo Diesel ha le marce corte, mi viene un attacco terribile di pazzia e vorrei riempirlo di botte, o in caso d’impossibilità, uccidermi subito sganciando una bomba, del tipo di quelle che gli agenti segreti portano nascoste nei molari in caso di emergenza.
Quando arriviamo in stazione lui mi deposita e poi parte alla ricerca di un parcheggio in divieto di sosta sicuro; prende una multa ogni tre giorni, e quando è passato col rosso ha costretto mio fratello a sobbarcarsi la responsabilità, perché lui, oltre ad avere esaurito i punti, aveva anche la patente scaduta da un anno.
Gliel’hanno rinnovata, figurarsi: ha 11 decimi per occhio. Vede anche dietro le sue spalle. Si aggira per i binari di Porta Susa controllando ogni movimento, ogni persona strana e ogni bullone svitato. Da lontano sembra un grillo in braghette, magro com’è, con le gambe snelle e un bulbetto di pancetta tonda, le mani dietro la schiena e qualche capello bianco che sta dritto come un’antennina.
Poi lo guardo negli occhi che brillano del colore dell’acciaio e mi ricordo che la mia ribellione letteraria è cominciata da lì: in quel “azzurro di stoviglie” sfido chiunque a trovare qualcosa di quieto e sottomesso. Io quella poesia là non l’ho mai capita, forse si riferiva a una paralitica. Questo signore che trapana qualunque cosa con lo sguardo, ha l’agilità e lo scatto di un centometrista, e se ti tira un ceffone te ne accorgi solo dal bruciore della guancia e dal ronzio delle orecchie. Deve avere i piedi ammortizzati: non lo senti mai arrivare. Come se non bastasse, può tirarti un sasso in fronte da cento metri e non sbagliare mai. Avrebbero dovuto reclutarlo nel Mossad.
Sta perdendo colpi però. Ieri si era messo a tirare giù fichi dalla pianta e me li lanciava sul balcone, a raffica senza quasi guardare, come sempre. Si fida, sono una sua recluta, la migliore. Non si è neppure preoccupato che li schiacciassi nel prenderli: me li tira con l’effetto, così io li prendo assecondando la rotazione senza romperli.
Il problema è che io manco di un allenamento costante, visto che conosco solo lui che fa queste cose, e per giunta invecchio, in proporzione più veloce. Così ho mancato un fico, che si è spatasciato contro il muro di casa, e data la velocità che aveva, anche con gran botto.
Un brivido di terrore mi ha percorso la schiena: per una cosa così, papino è capace di darmi della deficiente tutto il giorno.
Ma lui non si è girato, sta diventando sordo.
E io mi sono salvata concludendo la nostra esibizione senza insulti, e come da regola, senza complimenti. Mia madre ha cancellato velocemente ogni traccia del misfatto.
Poi lui, come sempre, si è sporto troppo dalla scala centenaria, di recupero, con alcune modifiche di sua invenzione, e ha perso l’equilibrio: per me questo è stato uno spettacolo inaudito.
Quando ha capito che stava andando, ha spiccato un balzo e si è appeso a un ramo, che si è spezzato dandogli il tempo di passare a un altro, come Tarzan. Si è spezzato anche quello ma era più basso e lui è finalmente potuto atterrare, come un paracadutista.
Io dal balcone, lontana, ho potuto soltanto guardarlo in faccia: avesse cambiato espressione un secondo.
È tornato in casa togliendosi alcune schegge dalle mani.
Questo racconto fa parte del libro OFFSET scaricabile gratuitamente da Amazon. Per leggerlo online, in PDF e ePub, QUI
hey, grazie. A mio padre farà piacere essere considerato un capolavoro! Devo solo trovare il coraggio di mostrargli il post 🙂
"…Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo puo' essere un capolavoro…." Grande ritratto con suggestioni futuriste! Conferma che a realta', come sempre, stupisce e supera di gran lunga la fantasia. Bellissimo!